Ficus carica – Fico comune

portamento; foglia; fiore; frutto; corteccia; gemma; foliage; fenologia; areale di origine; sistematica; dove trovarli; spigolature

Ficus carica L.
Nome assegnato da Linneo nel secondo volume del celeberrimo Species Plantarum, 1753, a pagina 1059

La pagina in questione (fonte).

Due varietà saranno descritte nel post, Ficus carica var. caprificus (Risso) Tschirch (il fico selvatico o caprifico) e F. c. var. domestica Czern. & Rav. (il fico domestico). In qualche modo la prima è maschio e la seconda femmina, anche se i sessi sono da riferire più all’uso che di essi ne fa l’insetto impollinatore che a un reale diocismo delle specie. Pare non ci sia pieno accordo sui nomi, alcune fonti parlano di var. sativa invece di var. domestica, Unalberoalgiorno ha deciso di attenersi a questa fonte.


Fenologia
Sono possibili fino a tre fioriture (dipende dalla cultivar e dalla latitudine) e tre conseguenti fruttificazioni, indicate rispettivamente in arancio e verde .
Il risveglio vegetativo è aprilino, mentre perde le foglie alla fine di novembre dopo un breve periodo di foliage. (Padova: 21m sul livello del mare, 45 gradi di latitudine nord)
Areale di origine – Native range
Il nome specifico deriva da Caria, una regione della Turchia che si affaccia sull’Egeo e confina a nord con la Lydia e a sud con la Lycia.

Il tronco è breve e le branche più basse si dipartono quasi orizzontalmente allargando la chioma che assume profilo di semiellisse, insomma, a cupola.

Un vecchio fico (almeno a giudicare dalla corteccia) nel cortile di Anatomia Patologica (ripreso da Via Gabelli). Portamento e forma della chioma da manuale.
Ponte San Lorenzo sul Tronco Maestro, un ragguardevole esemplare in una giornata autunnale.
Marzo
Riviera San Benedetto
In ottobre la pianta si tinge di giallo intenso
Le foglie spiccano sui rami scuri dopo la pioggia.
Ficus carica in posizione impossibile. Scatto dal Ponte della Morte.
Al Lido di Venezia se ne possono incontrare molti allo stato spontaneo, nella foto un esemplare maestoso sulla Spiaggia dei Murazzi.
Isola di Lanzarote. Incredibile coltivazione in un ambiente magico.
Corteccia liscia e sottile, colore cenerino
Numerose lenticelle. Nella foto dopo un temporale.
I segni del tempo sull’esemplare di Anatomia Patologica.
Foglia grande (per antonomasia), profondamente lobata con seni stretti e tortuosi il cui andamento si riflette sulla forma dei lobi, che risultano ingrossati verso il vertice. Bordo crenato.
Presente uno spiccato polimorfismo fogliare: tre, cinque, sette lobi o addirittura nessuno. Ma non basta: si può cercare a lungo senza trovare due foglie coincidenti.
Nervature palmate e dal colore che contrasta col verde scuro della pagina superiore.
In rilievo quelle della pagina inferiore, che è molto più chiara.
Al tatto la pagina superiore è ruvida. L’ingrandimento ne spiega il motivo: robusti peli che sembrano dei veri e propri uncini. Il bordo ne è particolarmente fornito.
Pagina inferiore pubescente alla nascita, poi conserva una leggera peluria in prossimità delle venature.
Se staccate le foglie (ma anche i frutti), emettono un lattice appiccicaticcio e bianchissimo.
Caratteristica gemma a punta
Il frutto è il classico fico (pianta e frutto portano lo stesso nome). Ma in realtà si tratta di una infruttescenza, o frutto multiplo, dal nome esotico: siconio.
I frutti veri sono quei piccoli granelli duri e secchi (acheni) che si sentono in bocca.
Essi sono completamente immersi in una polpa mielata (quando si dice ‘sei dolce come un fico’…) e variamente colorata.
L’infiorescenza ha conformazione analoga. Una struttura ripiegata su se stessa che genera una cavità (con un’apertura in fondo) alle cui pareti sono attaccati miriadi di strani fiorellini.
L’ingrandimento mostra la disposizione dei fiori (femminili in questo caso) attaccati per un peduncolo al tessuto connettivo e rivolti verso il centro della cavità.
Nella foto si distinguono peduncoli, ovari, stili e stigmi bifidi. Tutti affastellati gli uni sugli altri come in un quadro di Mirò.
Il colore è diafano. In trasparenza si vede l’ovulo all’interno dell’ovario che a sua volta è ricoperto da tepali vitrei. Lo stigma si divide in due lunghi e mossi segmenti.
I fiori maschili compaiono in infiorescenze a fiori misti, e sempre presso l’orifizio (tecnicamente ostiolo).
Quattro antere al sommo di brevi filamenti, che si dipartono da un lungo peduncolo.
Calice con quattro tepali.

Come si sarà capito, esistono due tipi di infiorescenze, una ha solo fiori femminili e l’altra sia fiori maschili che femminili. Il primo tipo è portata dal fico domestico, il secondo dal fico selvatico o caprifico.

Figura (modificata) tratta dall’articolo di Alexander Tschirch pubblicato nel Ventinovesimo dei volumi che raccolgono i ‘Rapporti della Società Botanica Tedesca’ (Berichte der Deutschen Botanischen Gesellschaft), nel quale articolo l’autore dà nome alla varietà caprificus, (1911, quasi ieri; il che la dice lunga sulle difficoltà che da sempre i botanici hanno incontrato sulle abitudini intime del fico).
L’infiorescenza, come si è detto, ha un pertugio dal quale penetra un insetto che raccoglie il polline dai fiori del caprifico per fecondare quelli del fico domestico. Una storia complessa che non possiamo raccontare in un misero post, ma che potrete trovare in questo articolo di Wikipedia, in particolare al paragrafo ‘Sessualità del fico’.

Spigolature

Albero profondamente radicato nella cultura delle regioni di provenienza e nel Mediterraneo. Numerosi, nelle arti figurative, i riferimenti ai tanti valori simbolici.

Adamo ed Eva, Palazzo Ducale, Venezia, pilastro d’angolo sudovest (sec. XIV, particolare). Nelle scritture non è detto se l’Albero del bene e del male fosse un fico (come sembra alludere il Maestro del capitello), ma è certo che i due ‘intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.’ Genesi 3,7.
Maestro dell’Arazzo conservato al Museo agli Eremitani, l’artista sembra voler fissare i caratteri essenziali della specie: fusto presto ramificato; foglia a cinque lobi ingrossati al vertice, quattro seni stretti, lungo picciolo.
Mantegna, San Sebastiano, 1481, Louvre.
Bellini, Pala di San Zaccaria, 1459, Venezia. Anche i santi come gli alberi hanno loro caratteri identificativi, procedendo da sinistra: San Pietro (chiavi); Santa Caterina d’Alessandria (ruota spezzata); non Maddalena ma Lucia (il vaso contiene gli occhi); San Girolamo. In basso un angelo musicista che suona una lira da braccio. Dietro Girolamo due alberelli uno florido e l’altro morto, forse pioppi o frassini oppure olmi, difficile a dirsi. Il fico trovatelo da voi come utile esercizio.
I sec. d C, affresco, Museo Libero D’Orsi, Castellammare di Stabia (NA). Pronti da mangiare.

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