Gli Agrumi - Ricerca

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Gli agrumi botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


gli agrumi

ricerca Miglioramento genetico Alessandra Gentile

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ricerca Miglioramento genetico Il miglioramento genetico delle piante coltivate è basato sulla scelta delle piante migliori all’interno di una popolazione variabile, ovvero, laddove non vi è variabilità, sulla possibilità di indurla utilizzando tecniche diverse. Il programma di miglioramento genetico può considerarsi concluso allorché vengono verificati in campo la stabilità dei caratteri e il comportamento bioagronomico complessivo del genotipo di nuova costituzione. Gli agrumi, nel loro complesso, sono caratterizzati da un’ampia variabilità genetica che è stata esplorata soltanto parzialmente e che è molto differente tra le diverse specie anche in funzione delle diverse caratteristiche riproduttive. A tale proposito basti citare l’alto grado di apomissia (formazione di embrioni senza che sia avvenuta la fecondazione) che contraddistingue il mandarino Cleopatra, portinnesto che si riproduce sempre per autoimpollinazione in condizioni naturali e che viene considerato pressoché omozigote, a differenza, per esempio, del clementine Comune, varietà autoincompatibile in cui si registra più del 50% di condizione eterozigote per tutti i geni. La maggior parte delle cultivar di agrumi si è originata da semina di fortuna o da mutazioni gemmarie insorte in cultivar già esistenti e, in linea generale, si può affermare che un numero relativamente esiguo di genotipi di un certo significato commerciale si è originato da programmi di incrocio e da mutagenesi indotta. Tuttavia, più recentemente, e in particolare per il comparto dei mandarinosimili, il numero di nuovi individui ottenuti mediante tali tecniche è cresciuto notevolmente anche in virtù di innovazioni agronomiche e tecnologiche che hanno consentito di migliorare l’efficienza e abbreviare i tempi per la valutazione dei nuovi genotipi. La realizzazione di programmi di miglioramento genetico degli agrumi basati sull’impiego dei metodi convenzionali è ostacolato da diversi aspetti della biologia fiorale che condizionano e limitano i successi conseguibili. Tra essi vanno menzionati: – l’elevato grado di eterozigosi a cui si aggiunge la mancanza quasi totale di conoscenze sul controllo genetico di specifici caratteri, molti dei quali poligenici. Pertanto, la probabilità di ricombinare i geni desiderati di una cultivar di successo in un ibrido è veramente esigua e le popolazioni F1 che si ottengono sono caratterizzate da un’elevata segregazione dei caratteri; – la lunga fase giovanile dei semenzali zigotici e nucellari che rende estremamente lungo il periodo necessario per la valutazione e la selezione delle nuove varietà consentendo, di fatto, di analizzare solo la progenie F1 impedendo lo sviluppo di programmi più lunghi. Tale aspetto determina, altresì, la necessità di disporre di ampie superfici per la valutazione bioagronomica dei genotipi in esame. Inoltre, le caratteristiche dei frutti ottenu-

Gli agrumi presentano ampia variabilità genetica

• L’ampia variabilità esistente è

determinata da diversi fattori, quali: - elevato numero di generi e specie; - i ntercompatibilità; - presenza di numerosi ibridi e di una complessa genealogia; - lunga storia di diffusione; - diffusione in un’ampia fascia longitudinale; - utilizzo a fini alimentari e medicinali; - instabilità genetica; - presenza di chimere d’innesto e citochimere autogene; - interferenza dei fattori ambientali (biotici e non); - facilità nella propagazione gamica e agamica

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miglioramento genetico ti dalla prima fioritura e fruttificazione del nuovo individuo non consentono di trarre indicazioni esatte in quanto spesso, in tale fase, esse si discostano ancora da quelle che saranno proprie dell’individuo adulto; – la sterilità, morfologica, citologica e fattoriale, parziale o totale di polline e ovulo che impedisce l’incrocio di alcuni genotipi quali le cultivar di arancio appartenenti al gruppo Navel, il pompelmo Marsh e i satsuma; l’embrionia nucellare, cioè lo sviluppo di embrioni avventizi – somatici da cellule della nucella, che determina la formazione di popolazioni di semenzali geneticamente identici al genitore femminile con conseguente mancanza della ricombinazione genetica. In alcuni incroci, infatti, nonostante i numerosi sforzi profusi, non si ottengono ibridi o quelli ottenuti sono troppo pochi per fornire una popolazione sufficientemente grande nell’ambito della quale poter ritrovare ricombinanti superiori. Questa difficoltà di incrocio assume maggiore significato per quelle specie in cui pochi o nessun genotipo monoembrionico sono disponibili, come per esempio in arancio e pompelmo. Appare evidente, pertanto, che le peculiarità della biologia riproduttiva degli agrumi rendono il lavoro di miglioramento genetico particolarmente lento, complesso e costoso e tali difficoltà diventano ancora più significative per la costituzione dei portinnesti per i quali, ovviamente, sono anche da valutare, oltre all’affinità di innesto e all’influenza sull’habitus vegetativo delle principali cultivar, anche le modificazioni dei principali caratteri qualitativi dei frutti (colore, zuccheri, acidità ecc.). Proprio perché il portinnesto influenza in maniera significativa moltissime caratteristiche bioa-

Genomica

• Al genere Citrus appartengono piante

diploidi con una dimensione stimata del genoma aploide di circa 367 Mb e 2n = 18 cromosomi. All’inizio del 2010 sono state depositate nelle banche dati pubbliche le sequenze nucleotidiche complete di due genotipi di agrumi. Una linea aploide di clementine è stata scelta dall’International Citrus Genomic Consortium (ICGC) come genoma di riferimento per tutti i Citrus e sequenziata con il metodo whole genome shotgun (http:// www.phytozome.net/clementine. php). Contemporaneamente è stata depositata una bozza della sequenza della varietà Ridge Pineapple di arancio dolce (http://www.phytozome. net/citrus.php), ottenuta utilizzando metodi di sequenziamento di nuova generazione. Recentemente, anche un gruppo di ricerca cinese ha sequenziato un genotipo doppio aploide di arancio dolce (http://citrus.hzau.edu. cn/orange/index.php) e sono in corso risequenziamenti di decine di genotipi. L’ottenimento di informazioni complete relative ai genomi delle specie ancestrali e dei genotipi coltivati sarà utile per comprendere le basi genetiche della diversificazione intrae interspecifica e per identificare i geni chiave che regolano numerosi caratteri di interesse agronomico. Tali informazioni potranno in futuro risultare utili per adottare più efficienti programmi di miglioramento genetico

Plantule di agrumi originate da semi di una specie monoembrionica (a destra) e da semi di una specie poliembrionica (a sinistra)

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ricerca gronomiche e produttive delle varietà, il miglioramento genetico dei portinnesti ha un impatto elevato per il successo di un impianto agrumicolo. Tuttavia, nonostante le difficoltà, sostanziali progressi sono stati fatti nella costituzione di nuovi genotipi soprattutto nel gruppo dei mandarino-simili. L’adozione delle recenti biotecnologie, quali la variabilità somaclonale, l’ibridazione somatica e la trasformazione genetica, e la loro integrazione con gli strumenti di biologia molecolare (marcatori per la selezione precoce assistita e conoscenze derivanti dal sequenziamento dell’intero genoma aploide degli agrumi) nei programmi di miglioramento genetico offrono e offriranno sempre più strumenti rapidi ed efficienti per la costituzione di nuovi genotipi più rispondenti alle mutevoli richieste del consumatore, soprattutto in termini di salubrità e valore nutraceutico del frutto. Obiettivi del miglioramento genetico degli agrumi Definire i diversi obiettivi del miglioramento genetico degli agrumi è piuttosto complicato perché bisogna considerare una molteplicità di specie che vengono prodotte con finalità diverse (produzione per il consumo fresco, per il succo, a fini ornamentali, come portinnesti). Peraltro occorre ricordare come, alcune volte, obiettivi di grande valenza sono stati realizzati in maniera inconsapevole: si pensi a tal proposito alla costituzione dei portinnesti citrange Troyer e citrange Carrizo, originatisi da un incrocio tra Poncirus trifoliata e arancio dolce Washington Navel realizzato con l’obiettivo di trasferire il carattere di resistenza al freddo del Poncirus nell’arancio dolce. Gli ibridi ottenuti, invece, hanno manifestato un

Il miglioramento genetico dei portinnesti è determinante per il successo di un impianto

Particolare di fiore, frutticino e germoglio di Poncirus trifoliata

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miglioramento genetico ottimo comportamento nei confronti della Phythophtora, agente del marciume del colletto degli agrumi, facendo presto assumere a tali portinnesti un ruolo di grande valenza, anche per la resistenza alla tristeza (CTV, Citrus Tristeza Virus) da essi manifestata ed ereditata dal genitore Poncirus. In linea generale, volendo distinguere tra le varietà e i portinnesti, gli obiettivi prioritari dei programmi di miglioramento genetico possono essere così schematizzati: – v arietà: a) caratteristiche della pianta: precoce entrata in produzione, elevata produttività, costante produzione; b) caratteristiche del frutto: pezzatura, apirenia, contenuto in succo, epoca di maturazione interna ed esterna, facilità di sbucciatura per i mandarini, contenuto in solidi solubili totali, acidità del succo, resistenza del frutto maturo sull’albero, elevata resistenza in post-raccolta, contenuto in composti nutraceutici (vitamina C, antocianine ecc.); ortinnesti: –p a) caratteristiche della pianta: velocità di accrescimento, sviluppo dell’apparato radicale, adattabilità a condizioni pedologiche limitanti (contenuto in calcare, struttura e tessitura del suolo, salinità), adattabilità a condizioni climatiche avverse (resistenza alle gelate, all’aridità), resistenza a stress biotici (Phytophthora, Armillaria mellea, nematodi, virus e viroidi ecc.); b) caratteristiche dei frutti: elevata resa in semi poliembrionici.

Pianta di limone affetta dal malsecco

Metodi di miglioramento genetico Selezione clonale e nucellare La maggior parte delle cultivar di agrumi oggi utilizzate ha avuto origine da mutazioni gemmarie sorte spontaneamente; la loro frequenza è piuttosto rilevante, soprattutto se si confronta con quella riscontrata in altri fruttiferi, e varia in funzione della specie e della cultivar: è più elevata nel satsuma, nell’arancio dolce e nel clementine di quanto non sia nel limone, nel cedro e nel pompelmo. L’insorgenza delle mutazioni è anche influenzata dalle condizioni ambientali e dalle pratiche colturali realizzate, per esempio la potatura, che determina lo sviluppo di gemme latenti e avventizie. Recentemente è stato dimostrato che almeno una delle cause responsabili di modifiche dell’assetto genetico delle piante di agrumi è rappresentata dalla presenza di elementi trasponibili abbondantemente distribuiti sui cromosomi che, in seguito al verificarsi di alcune condizioni, saltano su regioni nuove del cromosoma, impedendo o modificando l’espressione dei geni dove questi si inseriscono, e, pertanto, determinando l’insorgenza di nuovi caratteri. Il processo di selezione prevede, dopo aver individuato la mutazione di interesse, il prelievo della marza del ramo mutato e il

Gommosi provocata da Phytophthora

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ricerca conseguente innesto per la valutazione dell’uniformità delle caratteristiche rilevate per alcuni anni (2-3). Avuta la certezza della stabilità della modificazione insorta, il nuovo genotipo viene risanato attraverso la tecnica del microinnesto e la nuova varietà viene innestata su diversi portinnesti per una valutazione complessiva. Non tutte le modificazioni individuate portano al rilascio di un nuovo genotipo. Infatti, in agrumicoltura è piuttosto comune il verificarsi di un fenomeno noto con il termine di “chimera” che consiste nella contemporanea presenza di tessuti di differente costituzione genetica; in realtà tale fenomeno può anche originarsi per irregolarità dei processi mitotici o per effetto dell’innesto. Le chimere possono essere autogene o sintetiche. Nel primo caso la modificazione riguarda una cellula dell’apice vegetativo e, in funzione dello strato istogeno che è interessato, si parla di mutazioni periclinali, mericlinali e settoriali. Le chimere sintetiche invece non riguardano una modificazione dell’assetto genetico della cellula dell’apice meristematico, ma si originano in seguito allo sviluppo di gemme avventizie nel punto di innesto di due bionti. Pietro Nati nel 1624 ha descritto la “bizzarria” che successivamente Tanaka (1927) identificò come composta da una parte interna di cedro e uno strato esterno di arancio amaro. Nel complesso, l’insorgenza di tali chimere di innesto è rara e non ha rilevanza sul piano applicativo. Nelle forme chimerali di tipo periclinale o mericlinale le modificazioni non vengono trasmesse per seme rendendo, pertanto, instabili tali forme; per esempio, è stato riportato che piante diverse di arancio Shamouti producono semenzali con caratteristiche

Arancio amaro variegato tratto da Antonio Targioni Tozzetti

Bizzarria tratta da Antonio Targioni Tozzetti Chimera settoriale in frutti di arancio

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miglioramento genetico rispondenti al tipo e semenzali, invece, con caratteristiche tipiche dell’arancio Beledi. Tale fenomeno è legato, infatti, all’origine chimerale dell’arancio Shamouti che ha avuto origine, probabilmente, come mutazione senza semi insorta in una branca di arancio Beledi. Un altro esempio di tale tipo è la produzione di frutti cosiddetti “apiati” (erroneamente attribuita alla puntura delle gemme da parte delle api) in piante di arancio Ovale le cui caratteristiche sono riconducibili a quelle del Biondo Comune. Diversi sono i casi riportati in letteratura e che riguardano la comparsa di piante con caratteri ancestrali come, per esempio, piante con frutti di tipo cedro in limone Villafranca. È comunque importante sottolineare come tutte le cultivar che presentano un’origine chimerica siano instabili; una possibilità per la selezione soltanto dei tipi con le caratteristiche mutate può essere rappresentata dall’isolamento di semenzali nucellari ottenuti anche mediante l’impiego di tecniche di coltura in vitro. La maggior parte delle modificazioni genetiche che si verifica in natura è peggiorativa e può determinare uno scadimento delle caratteristiche delle cultivar interessate. Risulta fondamentale, pertanto, in questo caso, individuarle ed eliminarle con la potatura per mantenere lo standard varietale. Nonostante la selezione di nuovi genotipi attraverso l’insorgenza di mutazioni spontanee sia certamente un processo lungo e difficile, essa rappresenta senza dubbio il metodo più utilizzato per il miglioramento genetico degli agrumi, probabilmente perché consente di mantenere la maggior parte delle caratteristiche originarie negli individui che mutano e perché essi non devono superare la fase giovanile tipica dei semenzali per essere valutati nelle caratteristiche qualitative dei frutti. L’origine, per esempio, dell’arancio Washington Navel e di tutti i relativi mutanti precoci (Naveline, Newhall) e tardivi (Chislett, Powell ecc.) nella maturazione è a carico dell’arancio Selecta in cui è insorta la mutazione relativa alla formazione del navel (ombelico) nel frutto. Anche la moltitudine di clementine oggi disponibili caratterizzati da epoche diverse di maturazione (da quelli molto precoci ai tardivi) si è originata a partire dal clementine Comune a seguito di mutazioni gemmarie, così come i numerosissimi cloni di arancio Tarocco diversificati per morfologia del frutto, caratteristiche qualitative ed epoca di maturazione. La selezione nucellare è stata molto utilizzata nel passato per il risanamento dalle malattie da virus. Essa consiste nel propagare i semenzali nucellari ottenuti dalle cultivar poliembrioniche che risultano essere virus-esenti. Tuttavia, le piante nucellari presentano caratteri giovanili quali l’eccessiva spinescenza, che si mantiene anche dopo diversi cicli di innesto, il ritardo della messa a frutto e l’insoddisfacente qualità dei frutti durante i primi anni di fruttificazione. Attraverso la selezione nucellare è stato possibile ottenere linee nucellari delle più importanti cultivar di

Frutti variegati di arancio Valencia originatisi da mutazione periclinale

Cloni di arancio Tarocco

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ricerca arancio, mandarino e pompelmo, mentre risultati poco significativi si sono registrati per il limone in quanto i cloni nucellari sono risultati più suscettibili al malsecco delle vecchie linee. Oggi per il risanamento delle varietà dalle malattie da virus si utilizza il microinnesto.

Autoincompatibilità e partenocarpia

• Gli agrumi sono caratterizzati da

Ibridazione Oltre alla sterilità gametica, gli agrumi sono caratterizzati da fenomeni di auto- e interincompatibilità che, se da un lato pongono problemi nel momento in cui si vogliono realizzare degli incroci, dall’altro offrono l’opportunità di produrre frutti apireni grazie alla spiccata tendenza alla partenocarpia. È stato ipotizzato che l’autoincompatibilità fosse determinata dalla presenza dell’allele Sf autocompatibile dominante. Recentemente, l’analisi di progenie ottenute da incroci tra satsuma e diverse cultivar di mandarino autoincompatibili (Fortune, Ellendale) e autocompatibili (Murcott, Wilking) quali donatori di polline ha portato alla verifica di rapporti di segregazione che hanno consentito di ipotizzare che il satsuma abbia un allele autocompatibile e uno autoincompatibile, confermando, pertanto, il modello precedentemente proposto. Negli ultimi anni, uno studio agronomico, istologico e molecolare ha evidenziato i rapporti di interazione tra polline e pistillo in genotipi auto- e intercompatibili durante il percorso del polline all’interno dello stilo. Sono stati altresì individuati alcuni geni candidati coinvolti nel meccanismo dell’incompatibilità. L’autoincompatibilità è assai frequente nel pummelo, limone, clementine e in alcuni tangeli. La presenza di tale carattere è assai difficile da predire in molte progenie considerando il ruolo che i diversi ancestrali hanno avuto nella costituzione genetica dei genitori. Tutte le specie appartenenti al genere Citrus sono intercompatibili ed è possibile anche l’ibridazione con altri generi affini quali Fortunella e Poncirus. Pertanto l’incrocio ha rappresentato e rappresenta tuttora una delle strategie più utili per l’induzione di nuova variabilità. Gli incroci naturali, spesso aiutati dalla diffusione operata dall’uomo del germoplasma agrumicolo, e la successiva selezione, naturale o artificiale, sono stati responsabili dell’evoluzione del genere Citrus attraverso la costituzione di numerose specie che combinano diverse caratteristiche delle specie considerate originarie degli agrumi coltivati. La lunga fase giovanile, tipica dei semenzali zigotici e nucellari, è tuttavia uno dei principali ostacoli che si incontrano nello svolgimento di programmi di incrocio. Il raggiungimento della fruttificazione, tuttavia, che si consegue più lentamente in arancio di quanto non avvenga nella maggior parte delle cultivar di mandarino, non determina anche la scomparsa di altre caratteristiche morfologiche tipiche dello stadio giovanile, quale l’elevata spine-

una serie di peculiarità della biologia riproduttiva tra le quali si distinguono la poliembrionia, l’autoincompatibilità e la partenocarpia. A differenza di altre specie arboree da frutto, molte specie di agrumi, di fatto, riescono a produrre frutti in assenza di fecondazione. La partenocarpia e l’autoincompatibilità sono due caratteri, spesso abbinati, che consentono di ottenere frutti privi di semi

• Una migliore conoscenza dell’interazione

tra il polline e il pistillo nei fiori di agrumi contribuisce a realizzare programmi di miglioramento genetico più efficienti e a pianificare impianti commerciali più idonei per l’ottenimento di produzioni apirene. La letteratura scientifica relativa allo studio del meccanismo di autoincompatibilità degli agrumi è stata arricchita, nonostante l’importanza economica a livello mondiale della coltura, solamente negli ultimi anni. È stato sinora accertato che l’autoincompatibilità è sotto il controllo di un sistema proteico non del tutto caratterizzato, simile a quello delle solanacee e delle rosacee. In particolare per gli agrumi, studi istologici hanno permesso di evidenziare i drastici cambiamenti morfologici e fisiologici a carico del fiore che accompagnano la fase progamica durante l’intero processo fecondativo. Un’ampia disponibilità di informazioni sulla biologia riproduttiva è di fondamentale importanza per la realizzazione di programmi di miglioramento genetico.

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miglioramento genetico scenza, che può mantenersi per diversi anni. La durata della fase giovanile dipende molto dal genotipo e recenti ricerche hanno concluso che essa è sotto il controllo di diversi geni. L’incrocio sessuale controllato, quale metodo di miglioramento genetico, è certamente un processo lungo che prosegue per passaggi successivi che vanno dalla demasculazione del fiore della varietà selezionata, prima che il proprio polline sia maturo, all’isolamento con tessuto non tessuto per evitare la fecondazione incontrollata, all’impollinazione controllata con il polline della varietà donatrice prescelta opportunamente raccolto sui fiori già demasculati, al recupero all’individuazione e alla selezione degli embrioni zigotici, all’allevamento di moltissimi semenzali e, infine, alla selezione dei tipi migliori. I semenzali ottenuti vengono innestati su portinnesti vigorosi al fine di ridurre i tempi per la valutazione delle caratteristiche dei frutti. Al fine di individuare gli individui zigotici, l’utilizzo del genitore femminile clementine monoembrionico ha rappresentato il metodo più utilizzato, anche se oggi la disponibilità di tecniche di analisi del DNA rendono possibile conoscere con certezza l’origine dei semenzali in epoca assai precoce. Inoltre, la popolazione di semenzali che si ottiene può presentare caratteristiche intermedie a quelle dei genitori, alcuni caratteri propri di uno solo dei genitori, nuovi caratteri che non sono presenti in nessuno dei due genitori oppure caratteristiche che erano presenti nelle forme ancestrali. Pertanto, da un lavoro di ibridazione verranno selezionati soltanto quegli individui che presenteranno caratteristiche specifiche migliorative rispetto a quelle di ciascuno genitore.

Viaggio del polline in fiori di cultivar incompatibili (a sinistra) e compatibili (a destra)

Pool genico di specie di agrumi

C. grandis (Pummelo) C. aurantium (Arancio amaro)

SPECIE PRINCIPALI C. medica (Cedro)

C. limon (Limone)

C. aurantifolia (Limetta)

C. sinensis (Arancio dolce)

C. reticulata (Mandarino)

Tangor

GENERI AFFINI

IBRIDI Poncirus trifoliata Orangelo Citradia

C. paradisi (Pompelmo)

Fortunella japonica (Kumquat)

Tangelo Citrumelo Citrandarin

Citrange

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Citrangequat


ricerca Nel complesso gli ibridi di agrumi possono essere così classificati: – intraspecifici: sono incroci realizzati tra cultivar appartenenti alla stessa specie; – interspecifici: sono ibridi ottenuti per incrocio tra specie appartenenti allo stesso genere. Molti ibridi interessanti da un punto di vista commerciale appartengono a questa categoria e precisamente: i tangeli (Citrus reticulata x C. paradisi) e i tangor (C. reticulata x C. sinensis); – intergenerici: sono difficili da ottenere anche se, allorché l’incrocio è coronato da successo, gli ibridi sono vigorosi; alcuni di questi ibridi hanno un’importanza assai rilevante quali portinnesti (citrange e citrumelo); – ibridi complessi: si originano a seguito di incroci tra ibridi interspecifici o intergenerici e sono il risultato di due o più incroci. In realtà, l’incrocio sessuale non ha contribuito in maniera sostanziale alla costituzione di cultivar di interesse nell’arancio dolce, nel pompelmo, nel limone e nella lima. Per quanto riguarda il limone, bisogna sottolineare che, con lo specifico obiettivo di trasferire il carattere di resistenza al malsecco in cultivar con buone caratteristiche agronomiche, sono stati eseguiti, in Italia e in altri paesi del bacino del Mediterraneo, a partire dal 1946, numerosi incroci tra specie e cultivar diverse, ma sino a oggi non è stato possibile selezionare alcun genotipo dotato sia di tolleranza al patogeno sia di adeguate caratteristiche bioagronomiche. Nell’ambito, invece, del complesso gruppo dei mandarini, l’incrocio sessuale ha consentito di ampliare fortemente la piattaforma varietale. I numerosi tangor e tangeli oggi ampiamente diffusi provengono da specifici programmi di ibridazione realizzati presso le diverse istituzioni scientifiche operanti in campo nazionale e internazionale. Numerosi ibridi intergenerici e interspecifici sono stati costituiti per il raggiungimento di specifici obiettivi. Tra questi il mandarino Primosole, ottenuto dall’incrocio tra il mandarino Avana e il satsuma Miyagawa, ha avuto una notevole diffusione in Italia e in Spagna per la precocità di maturazione e l’apirenia dei frutti. Più recentemente l’attenzione dei ricercatori in diverse regioni agrumicole si è concentrata sulla costituzione di individui triploidi, importanti perché sterili e pertanto caratterizzati da produzione di frutti apireni. La lima acida Bearss (Citrus x latifolia) è un ibrido naturale triploide originatosi presumibilmente da un incrocio tra una lima e un altro agrume che presenta sterilità dell’ovulo e che pertanto produce frutti apireni. I primi genotipi triploidi costituiti per incrocio artificiale sono stati l’Oroblanco e il Melogold, ottenuti dall’incrocio tra un genitore femminile 4x (pummelo Chandler) e uno maschile 2x (pompelmo Duncan). Altri ibridi triploidi costituiti da oltre 25 anni hanno una notevole importanza commerciale; tra essi, per esempio, il mandarino Wi-

Gli ibridi di mandarino

• Molti sono gli ibridi che hanno arricchito

il panorama varietale dei mandarini e sono entrati con successo nel mercato negli ultimi anni; tra questi si ricordano il mandarino Primosole, molti clementine, alcuni ibridi triploidi

• La crescente diffusione del clementine e

di altri ibiridi nel bacino del Mediterraneo è andata a discapito della coltivazione dei cosiddetti mandarini “veri”

• Uno degli obiettivi primari dei programmi di miglioramento genetico ha riguardato l’ottenimento di frutti apireni; i principali successi sono stati ottenuti attraverso la costituzione di individui triploidi, geneticamente sterili e pertanto apireni

• Un altro importante obiettivo

del miglioramento genetico è stato l’ampliamento del calendario di maturazione, perseguito con successo soprattuttto nel clementine attraverso la selezione di cloni con differente epoca di maturazione

Frutti dell’ibrido di mandarino Primosole

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miglioramento genetico nola rinvenuto in Israele da un incrocio tra il mandarino Wilking e il tangelo Minneola. In Italia, il CRA-ACM di Acireale ha svolto nell’ultimo ventennio un intenso lavoro di ibridazione utilizzando un genitore femminile diploide monoembrionico (al fine di essere certi sulla natura ibrida degli embrioni ottenuti) e individui maschili tetraploidi. Dalle diverse combinazioni di incrocio che sono state realizzate e che hanno riguardato diverse specie quali arancio dolce, clementine, pummelo, limone e cedri, è emerso chiaramente che le caratteristiche più importanti del frutto risultano fortemente influenzate dal genitore maschile utilizzato nell’incrocio. Nell’ambito di tutti gli ibridi ottenuti da tale programma, alcuni di essi, già in valutazione, hanno fatto registrare buone caratteristiche sia in termini di produttività sia di qualità dei frutti. Anche in Spagna sono stati recentemente costituiti interessanti ibridi triploidi (Safor, Garbì). Alla luce delle difficoltà biologiche e dei lunghi tempi necessari per l’ottenimento e la valutazione degli ibridi, appare chiaro che i programmi di miglioramento genetico basati sull’incrocio consentono di valutare al massimo le progenie F1. Mutagenesi indotta La possibilità di indurre mutazioni mediante irraggiamento con agenti fisici (radiazioni ionizzanti quali raggi gamma, x, UV ) o chimici (trattamenti con colchicina, con EMS ecc.) rappresenta un metodo potente per la produzione di nuova variabilità all’interno della quale, successivamente, operare un’adeguata selezione. Comunque essa venga provocata, la mutazione, a differenza di quello che avviene mediante l’incrocio, può interessare uno qualunque dei 100.000 o più geni del genoma nucleare e anche alcuni di quelli presenti negli organelli citoplasmatici. Ciò significa che la variabilità che viene così determinata è estremamente più ampia e può portare a una modificazione anche in quei geni (geni ubiquitari) che sono in comune tra tutte le varietà di una specie. Anche questo metodo di miglioramento genetico presenta alcune limitazioni. L’azione dell’agente mutageno non può essere determinata a priori e, pertanto, essere diretta nei confronti di uno specifico gene; ciò significa, in altri termini, che l’alterazione a carico del cromosoma è assolutamente casuale e può determinare l’insorgenza di caratteristiche indesiderate e la successiva necessità di analizzare una grande popolazione di mutanti all’interno dei quali operare la selezione. Inoltre, tali mutazioni possono non essere stabili nel tempo. La modificazione determinata dal fattore mutageno nei confronti della struttura molecolare del DNA può essere resa vana dal ripristino della struttura originaria in seguito a ulteriori mutazioni geniche, traslocazioni e aberrazioni cromosomiche, che insorgono prima ancora che la mutazione sia manifesta ed espressa fenotipicamente. Ovviamente, la maggior parte delle alterazioni positive indotte nel genoma di un organismo causano,

Frutti di Tangelo Minneola

Frutti dell’ibrido triploide Safor

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ricerca comunque, disturbi nel sistema generale così altamente sofisticato, bilanciato e sinergico. La mutagenesi indotta può portare anche alla produzione di chimere settoriali e mericlinali, cioè alla produzione di mutazioni che, in dipendenza della proporzione del settore mutato e dello strato di cellule interessato, possono essere instabili. Grande attenzione nell’impiego di tale metodo deve essere rivolta all’adozione di particolari accorgimenti volti a ridurre la probabilità di insorgenza di tale fenomeno e, a tal fine, è preferibile selezionare i potenziali mutanti nella seconda generazione dall’evento di mutagenesi. Questo metodo di miglioramento genetico può rappresentare un sistema particolarmente interessante per ottenere nuove cultivar, specialmente nel caso dell’arancio dolce e del pompelmo che non si prestano a essere modificati mediante l’incrocio. La grande variabilità di genotipi commercialmente importanti che sono stati ottenuti in seguito all’insorgenza di mutazioni naturali ha stimolato fortemente l’impiego delle sostanze mutagene per il raggiungimento di specifici obiettivi. Un intenso lavoro di miglioramento genetico attraverso la mutagenesi indotta è stato svolto nell’ultimo trentennio in Israele e più recentemente in Sud Africa e in altri Paesi agrumicoli e sono stati rilasciati numerosi genotipi, la maggior parte dei quali appartenenti al gruppo dei mandarini. Il primo genotipo costituito utilizzando tale tecnica è stato il pompelmo Star Ruby, selezionato da Hensz in Texas nel 1970 in seguito al trattamento con neutroni termici di semi di pompelmo Hudson nel 1959. La selezione ottenuta era contraddistinta dal colore particolarmente rosso della polpa (dovuto all’accumulo di licopene, pigmento tipico del pomodoro) e

Origine di alcune varietà di pompelmo Prima pianta di pompelmo Mutazione gemmaria Selezioni di semenzali

Walters Foster

arancio

Duncan Royal

Marsh

Cecity

Triumph

Jackson

Frost Marsh

Sun Fruit

Little River Hudson Irraggiamento

Thompson Fawcett Red

Burgundy

Shambar

Reed Webb

Star Ruby

Pink Blush

Ruby A & I 1-48

Henderson

Ray Ruby

Rouge la Toma

Irraggiamento Rio Red

Flame

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miglioramento genetico dalla minore acidità del frutto. Cloni senza semi sono stati ottenuti per l’arancio Pineapple, per i pompelmi Duncan e Foster, per il clementine Monreal e per il limone Eureka a partire da gemme ascellari o semi delle rispettive cultivar con semi. In Italia, giovani frutticini di limone Femminello siracusano sono stati irradiati con raggi gamma e gli ovuli non sviluppati da essi prelevati sono stati coltivati in vitro. Da tale programma è stato selezionato un mutante, denominato Femminello 2KR, che manifesta breve durata della fase giovanile, assenza di spine e precoce entrata in produzione associata a ottime caratteristiche qualitative dei frutti. Recentemente grande attenzione è riservata ad alcuni mandarini simili, ottenuti per irraggiamento con Cobalto 60 di gemme di varietà di buone caratteristiche ma dotate di semi; tra questi, per esempio, il mandarino Michal, privo di semi rispetto alla varietà originaria. Il trattamento con tale agente mutageno ha consentito di ottenere i rispettivi mutanti apireni, tra i quali il Tango, ottenuto in California a partire da W. Murcott (Nadorcott), e il Mor, ottenuto in Israele per irraggiamento del mandarino Murcott. Biotecnologie innovative Le biotecnologie innovative hanno fatto registrare nell’ultimo decennio un notevole sviluppo e offrono potenzialità per il superamento o, comunque, l’attenuazione di alcune problematiche connesse con lo sviluppo di programmi di miglioramento genetico degli agrumi. Nell’ambito del complesso ventaglio di tecniche disponibili, esse possono essere fondamentalmente raggruppate in due categorie, ciascuna delle quali deve essere considerata di supporto ai metodi classici di miglioramento genetico. Biotecnologie per l’ottenimento di nuova variabilità Esistono alcune moderne tecnologie che consentono di generare nuova variabilità allorché questa non è disponibile all’interno di una specifica varietà o perché mediante i metodi tradizionali non è possibile indurla. Tali metodi vengono indicati come “metodi parasessuali” in contrapposizione a quelli sessuali. Tra essi, vengono ricordati, perché più ampiamente utilizzati: – la variabilità somaclonale (compresa la selezione in vitro); – l’ibridazione somatica; – la trasformazione genetica. Il primo metodo si riferisce alla possibilità di generare variabilità in tessuti vegetali, allevati in vitro; tale variabilità può avere origini diverse: essa può insorgere spontaneamente proprio in funzione del metodo di coltivazione artificiale (è tanto più frequente quanto più il metodo di coltivazione in vitro prevede il passaggio da una fase di coltura di callo), può essere già presente nel tessuto che si mette in coltura e pertanto l’allevamento in vitro ne consente soltanto la manifestazione, ovvero può essere indotta mediante

Frutti di mandarino Michal irradiato (in alto) e frutti di mandarino Michal con semi (in basso)

Selezione in vitro di calli di limone utilizzando la tossina di Phoma tracheiphila

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ricerca l’impiego di fattori di stress che determinano l’insorgenza di mutazioni. Quest’ultimo metodo ha consentito di selezionare linee cellulari di agrumi che hanno manifestato tolleranza ad alcuni agenti di stress biotici o abiotici (filtrati colturali di Phoma tracheiphila e Phytophthora citrophthora, alte concentrazioni di NaCl ecc.). L’ibridazione somatica consiste nell’isolare e unire due protoplasti (cioè cellule private della parete cellulare) mediante un processo fisico o chimico. È un metodo che consente di superare qualunque problema legato all’incompatibilità sessuale tra i genitori che si vogliono unire, dal momento che le cellule utilizzate per la fusione sono prelevate dal soma della pianta e non dalla linea gamica. Consente, inoltre, di realizzare non un rimescolamento del patrimonio genetico dei due partner della fusione, bensì un’addizione dei due genomi (sia nucleare che citoplasmatico) con un risultato che è ben diverso da quello conseguibile mediante l’incrocio sessuale. Il limite di tale tecnica risiede nel fatto che, sebbene teoricamente sia possibile ottenere protoplasti da qualunque individuo, è più difficile disporre di un metodo di rigenerazione in vitro a partire da cellule isolate. Inoltre, diventa difficile da prevedere quale nuovo assetto genetico si avrà nell’ibrido costituito; esso potrà avere, in funzione del fatto che la fusione sia simmetrica o asimmetrica, un corredo genetico tetraploide o diploide. È stato dimostrato che individui tetraploidi posseggono caratteri complementari a quelli dei genitori così come individui diploidi – ottenuti attraverso un procedimento donatore-ricevente mediante il quale un genitore dona il DNA nucleare e l’altro quello citoplasmatico e noti con il termine di cibridi – posseggono tipi di DNA mitocondriale diversi da quelle presenti nei due genitori. Quest’ultima applicazione

Protoplasti isolati da callo di agrumi

a) Adesione di protoplasti isolati da callo e da mesofillo di agrumi; b) cellula proveniente da fusione di protoplasto da callo e da mesofillo (si noti il colore verde e bianco della cellula al centro); c) colonie di calli di agrumi a)

b)

c)

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miglioramento genetico dell’ibridazione somatica ha senza dubbio una valenza maggiore della produzione di individui tetraploidi perché consente di ottenere cibridi con una morfologia propria del genitore che fornisce il DNA nucleare e con un riassortimento del DNA citoplasmatico che, come dimostrato in altre specie, è depositario di geni assai importanti quali quelli che codificano per la resistenza a stress di natura biotica e abiotica. Il numero di ibridi somatici fertili (4n=4x) è in continuo aumento e numerosi sono i casi di individui costituiti a partire da genitori anche sessualmente incompatibili e appartenenti a generi distanti tra loro come Citrus e Severinia. L’università della Florida, e più precisamente il Citrus Research Education Center, ha prodotto un grande numero di ibridi somatici soprattutto con riferimento alla costituzione di portinnesti, il cui giudizio complessivo dovrà tenere conto della loro fertilità, e di nuove cultivar di arancio dolce allotetrapoidi sviluppate per essere utilizzate quali partner nell’incrocio con diploidi al fine di ottenere individui triploidi. L’induzione di nuova variabilità, in maniera mirata e specifica, può certamente essere conseguita con l’applicazione della trasformazione genetica. Tale tecnica consente di aggiungere un carattere specifico a una cultivar o a un portinnesto senza modificare il patrimonio genetico complessivo, evitando l’insorgenza di caratteri non desiderati e senza dover sottostare ai lunghi tempi richiesti dai cicli di reincrocio necessari allorché si vuole trasferire un carattere mediante i metodi sessuali. I metodi per la trasformazione genetica sono diversi, ma certamente quello più ampiamente impiegato prevede l’utilizzo di un vettore per il trasferimento della sequenza genica che si vuole inserire. È un metodo che non ha barriere né sessuali né filogenetiche; così geni isolati da batteri, funghi, virus e quant’altro possono essere inseriti nel genoma di un vegetale. Numerosi sono gli esempi di trasformazione genetica degli agrumi che fanno principalmente riferimento all’introduzione di geni per ottenere resistenza a stress biotici, in particolare al virus della tristeza, per modificare l’habitus vegetativo della pianta, per ridurre il numero di semi e il periodo giovanile dei semenzali, per indurre resistenza ad alcuni funghi ecc. Tuttavia, per completare il processo di trasformazione genetica è necessario disporre di un metodo efficiente di rigenerazione in vitro che, di fatto, ha fortemente limitato il numero di specie che sono state oggetto di trasformazione. Molte sperimentazioni, infatti, sono state condotte impiegando soltanto alcune specie considerate modello, quali i citrange Troyer e Carrizo e alcune varietà di arancio. Numerosi laboratori sono impegnati nell’affinamento dei metodi di trasformazione genetica per un grande numero di specie di agrumi, anche se oggi il limite più importante è rappresentato dalla mancanza di disponibilità di geni agronomicamente importanti, identificati, isolati e clonati da specie quanto più vicine a quelle che si vogliono trasformare.

Cellula di limone tetraploide (4n=36)

Cellula di limone diploide (2n=18)

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ricerca Biotecnologie per una selezione più rapida ed efficace All’interno di un programma di miglioramento genetico è fondamentale contare su un metodo di selezione efficiente che consenta di individuare, in tempi rapidi e con scarsi margini di errore, gli individui che non possiedono le caratteristiche desiderate. Allorché si esegue un programma basato sull’incrocio, per esempio, diventa indispensabile poter individuare rapidamente gli individui di origine nucellare da quelli zigotici. A tale proposito, nel passato l’impiego di genotipi con caratteristiche morfologiche dominanti (quali la foglia trifogliata) rappresentava un valido aiuto per tale finalità. Oggi le tecniche di analisi del DNA ci consentono – utilizzando quantità assai limitate di tessuto – di distinguere gli individui sulla base delle loro differenze genetiche. Numerose sono le tecniche che già esistono e continuamente delle nuove ne vengono messe a punto rendendo il settore dei marcatori molecolari uno di quelli più dinamici tra tutti quelli biotecnologici. I marcatori molecolari possono essere di supporto in molte fasi dei programmi di miglioramento genetico condotto con le tecniche convenzionali, potendo contribuire alla scelta mirata dei genitori fino alla selezione precoce dei semenzali, consentendo di accelerare notevolmente le procedure classiche di selezione, specie per quei caratteri che si rivelano con difficoltà o che si esprimono solo dopo il superamento della fase giovanile. I marcatori costituiscono, infine, un mezzo molto efficace per la realizzazione delle mappe genomiche che rappresentano uno strumento importante per l’isolamento

Il miglioramento genetico del limone per resistenza al malsecco

• Sin da quando questa malattia

si manifestò (1918) numerosi sono stati i tentativi di trasferire il carattere di resistenza alle cultivar di limone

• Tutte le tecniche di miglioramento

genetico, da quelle più tradizionali alle più innovative, sono state utilizzate a questo scopo. Si ricordano così la selezione clonale e quella nucellare e finanche l’incrocio che, nonostante l’ottenimento di numerosi ibridi intraspecifici e interspecifici, non ha prodotto i risultati sperati. Anche la variazione del numero di ploidia è stata una strategia perseguita, ma gli individui triploidi con resistenza al malsecco non presentavano soddisfacente qualità dei frutti

• Altra metodologia impiegata è stata

la mutagenesi indotta grazie alla quale è stato ottenuto il limone 2KR che, pur non avendo modificato il comportamento nei confronti del malsecco, rientra tra le cultivar di interesse nazionale

1

2

3

4

• Tentativi sono stati effettuati anche

attraverso la selezione in vitro con la tossina del fungo e con l’ibridazione somatica con risultati solo parzialmente esaustivi del problema

7 5

6

8

• Alcuni risultati interessanti sono

stati di recente ottenuti attraverso il trasferimento, tramite trasformazione genetica, di un gene (chit42) isolato da un fungo e codificante per una endochitinasi in grado di interferire con diversi funghi patogeni

Schema per la costituzione di piante di agrumi transgeniche a partire dall’infezione degli internodi (1, 2), il microinnesto delle gemme (3, 4) e la rigenerazione di piante complete (5, 6) sulle quali effettuare le verifiche molecolari (7, 8)

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miglioramento genetico e il clonaggio dei geni, per agevolare la selezione assistita di nuovi genotipi ottenuti con metodi diversi. Le informazioni sulle sequenze del genoma di agrumi, e in particolare per quelle che codificano per specifici caratteri, sono piuttosto esigue a confronto con altre specie erbacee e arboree. Con la finalità di ampliare le informazioni sulla genomica degli agrumi, nel 2004 è stato costituito un consorzio denominato International Citrus Genome Consortium, al quale partecipano i principali Paesi agrumicoli coinvolti negli studi molecolari sugli agrumi che hanno sequenziato il genoma del clementine.

Il gene delle antocianine

• I flavonoidi sono metaboliti secondari,

di cui le antocianine costituiscono la principale classe. Le antocianine sono pigmenti di colore rosso, porpora e blu che si accumulano nei vacuoli, soprattutto nelle cellule epidermiche, colorando tessuti diversi a seconda della specie. Lo studio della biosintesi delle antocianine è stato rivolto a due tipi di geni: strutturali, implicati nella biosintesi delle antocianine, e regolatori, responsabili della regolazione e del controllo della biosintesi stessa. Nello specifico è stato dimostrato che la struttura dei geni strutturali calcone sintasi, diidroflavonol-4-reduttasi, antocianidina sintasi, UDP-glucosio flavonoide 3-O-glicosiltransferasi e glutatione transferasi è uguale nelle accessioni di arance bionde e pigmentate, a differenza del loro livello di espressione che varia con la pigmentazione. Questi dati sono stati necessari per approdare allo studio dei geni regolatori, che si è concluso con l’isolamento di un gene appartenente alla famiglia dei Myb-like, chiamato Ruby, la cui espressione è trascurabile nella polpa di arance bionde, elevata nelle cultivar pigmentate. Nello specifico la differenza tra le arance bionde e quelle pigmentate è ascrivibile al promotore di Ruby, costituito da un retrotrasposone, una porzione del quale, ovvero una LTR (Long Terminal Repeats) è responsabile della presenza/assenza delle antocianine

Esempio di polimorfismi microsatelliti (a) e SNP (b) in specie di agrumi a)

Pummelo

Limone Femminello

Arancio amaro

Clementine Comune

Pompelmo Duncan

150

160 bp

170

b)

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gli agrumi

ricerca Arancio Giovanni La Rosa

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).


ricerca Arancio Introduzione Esistono due specie di arancio: l’arancio amaro (Citrus aurantium L.), utilizzato come portinnesto, e l’arancio dolce [Citrus sinensis (L.) Osbeck], coltivato per la produzione di frutti da destinare sia al consumo fresco sia alla trasformazione industriale. In questo capitolo tratteremo solo dell’arancio dolce. Questa specie, ibrido naturale tra pummelo e mandarino, si è originata nel Sud-Est asiatico in un’area tropicale compresa tra il decimo e il venticinquesimo parallelo nord che corrisponde al nord-est dell’India e alla parte meridionale della Cina. Si tratta, perciò, di una pianta sempreverde con foglie a lamina più o meno espansa, ricca di stomi e senza strutture atte a limitare la traspirazione, con esigenze idriche medio-elevate; non presenta fabbisogno in freddo e con temperature al di sotto dello zero subisce danni. Le prime coltivazioni di arancio sono state realizzate nei luoghi di origine; nel bacino del Mediterraneo è stato introdotto verso la metà del XV secolo. In Italia, in date diverse, sarebbe arrivato tra il XV e il XVI secolo a opera di navigatori genovesi e/o portoghesi, in alcune aree della Sicilia le arance si chiamano ancora “portualli” e l’aranceto “portuallera”. Tra gli agrumi, a livello mondiale, è la specie più diffusa, la cui produzione rappresenta quasi il 70% di quella agrumicola totale. I maggiori Paesi produttori sono Brasile e Stati Uniti, nell’area mediterranea Spagna e Italia. In Italia circa i due terzi della produzione di agrumi è rappresentata da arance. Le regioni maggiormente interessate sono quelle meridionali con in testa la Sicilia, che fornisce oltre la metà del prodotto; seguono Calabria, Basilicata, Puglia, Sardegna e Campania.

Il sapore amaro dei succhi

• I succhi di agrumi, dopo un certo tempo

dalla spremitura, tendono ad assumere un sapore amaro. Responsabile è la limonina, composto terpenoide presente nei frutti sotto forma di un precursore non amaro (monolattone dell’acido limonoico). Questo è riscontrabile nell’albedo, nei semi, nelle membrane degli spicchi e nelle vescicole del succo dove, con pH intorno a 5, si mantiene stabile, mentre passando nel succo, con pH intorno a 3, si idrolizza e si converte in limonina. Quando la sua concentrazione si mantiene inferiore a 6 ppm il succo è senz’altro bevibile; a partire da 9 ppm si avverte il sapore amaro, che si accentua fino a diventare sgradevole con valori superiori a 15-20 ppm. Il processo di idrolizzazione è rallentato dalle basse temperature, perciò le spremute vanno conservate in frigorifero

Frutti di Tarocco

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arancio Cultivar Nel complesso le cultivar di arancio sogliono distinguersi in tre raggruppamenti principali: – bionde comuni; – bionde ombelicate (Navel); –p igmentate. Un quarto raggruppamento è rappresentato dalle cultivar che producono frutti a bassa acidità. La maggior parte delle varietà coltivate deriva da mutazioni gemmarie spontanee, piuttosto frequenti negli agrumi e in particolare nell’arancio. Un certo numero deriva anche da selezioni nucellari, tecnica che sfrutta il fenomeno della poliembrionia e che costituisce anche un metodo di risanamento. Per questa via, però, si ottengono piante che presentano una fase giovanile più o meno lunga. Ormai per il risanamento si preferisce fare ricorso alla pratica del microinnesto.

Le cultivar di arancio dolce

• Bionde comuni

- c on e senza semi - a lta resa in succo - d olci (bassi valori di limonina) - c ultivar più diffusa Valencia Late

• Bionde ombelicate (Navel)

- s enza semi - b assa resa in succo - a lti valori di limonina - c ultivar capostipite Washington Navel

• Bionde pigmentate

Bionde comuni È il gruppo più antico e numeroso, comprendente cultivar che producono frutti con semi e altre che producono frutti apireni; l’epoca di maturazione varia da precoce a tardiva. I frutti della maggior parte delle cultivar si adattano alla trasformazione industriale, poiché presentano alta resa in succo e bassi valori di limonina, un composto che, se presente in concentrazione elevata, conferisce ai succhi un sapore piuttosto amaro. Diversi sono i fattori che concorrono alla sua biosintesi e alla sua evoluzione nei frutti e nei possibili derivati; importante è il fattore genetico (cultivar) ma anche il portinnesto può influenzare la sua concentrazione. Soggetti tipo limone (alemow e rough lemon) tendono a presentare più alti contenuti.

- t ipicamente italiane - p olpa rossa per alta presenza di antocianine - s uperiore tenore di vitamina C - c ultivar più diffusa Tarocco

Biondo comune. Trattasi di una cultivar popolazione tipica della vecchia agrumicoltura siciliana che comprendeva diversi cloni, spesso indistintamente coltivati. Tra essi si ricordano il Biondo riccio, il Biondo di spina e il Biondo nostrale, tutti con frutti più o meno ricchi di semi e di basso pregio, nessuno dei quali è ormai più presente in coltura. Altri cloni non di origine siciliana e a diffusione locale sono il Biondo di Tursi e il Biondo Staccia, tipici della Basilicata, e il Tardivo di San Vito, che ha presentato un minimo di diffusione in Sardegna. Belladonna. Non ha avuto mai particolare diffusione a causa della sua irregolare produttività; presenta una spiccata alternanza e non è raro osservare piante per metà cariche e per metà no. Tuttavia i frutti sono di buona qualità, molto succosi, con pochi semi o del tutto apireni e di gusto gradevole. È di frequente presente negli orti annessi alle abitazioni rurali. Belladonna

Ovale. Denominato anche Calabrese, deriva da una mutazione chimerale di Biondo comune e perciò presenta una certa instabi337


ricerca lità. Spesso sulle piante si riscontrano rami che producono frutti tipo Biondo che gli agricoltori chiamano impropriamente “apiati”, mentre si tratta di un ritorno ancestrale. L’ape, ingiustamente accusata, non può dare luogo a modificazioni dei frutti che non derivano da un atto fecondativo ma dallo sviluppo di un tessuto somatico che è quello dell’ovario. È stata la cultivar italiana di maggiore pregio, apprezzata per la bontà dei frutti e principalmente per la loro tardiva epoca di maturazione. La raccolta poteva essere effettuata a maggio inoltrato; se protratta ulteriormente si verificava un parziale rinverdimento della buccia. I frutti, inoltre, si prestavano bene a essere conservati fino all’estate, quando si utilizzavano anche ambienti freschi naturali come grotte e luoghi esposti a tramontana. La produttività non era sempre soddisfacente a causa di una bassa plasticità; presentava aree di elezione al di fuori delle quali produceva con irregolarità. Le piante, inoltre, erano soggette al fenomeno della rifiorenza che dava luogo alla formazione di frutti detti bastardi inservibili per la commercializzazione e che andavano eliminati poiché scompensavano ulteriormente l’equilibrio produttivo. Da circa trent’anni non si realizzano nuovi impianti; esistono ormai pochi vecchi impianti nei territori provinciali di Siracusa, Catania e Messina. Il suo declino è coinciso con l’introduzione della cultivar Valencia a maturazione altrettanto tardiva, di maggiore plasticità e che non presenta l’inconveniente della rifiorenza.

Rifiorenza in pianta di Ovale

Chimera

• Con il termine chimera, nella mitologia

greca, si indicava qualcosa di mostruoso e innaturale. In biologia si definisce chimera un individuo che presenta cellule aventi genomi diversi; nelle piante tale fenomeno si realizza quando in una gemma si verifica una mutazione che non interessa l’intero cono meristematico

Valencia Late. La denominazione fa pensare a un’origine spagnola mentre quasi certamente, per la prima volta, è stata rinve-

• La pianta che ne deriverà per

propagazione agamica conterrà tessuti costituiti da cellule mutate e tessuti costituiti da cellule non mutate; da ciò la possibilità di osservare sulla stessa pianta tratti morfologici diversi

• Di frequente in certe piante ornamentali si alternano foglie regolarmente verdi a foglie variegate: quelle di colore verde hanno origine da istogeni non mutati

• La coesistenza di tessuti diversi può

determinarsi anche a seguito di chimere d’innesto, allorquando tessuti provenienti dai due bionti concrescono indistintamente Pianta di Valencia con fiori e frutti

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arancio nuta in un’area agrumicola del Portogallo. È la cultivar più diffusa nel mondo, presenta ampia plasticità e in tutti i Paesi in cui è stata introdotta raramente ha manifestato problemi di produttività. I suoi frutti resistono a lungo sulla pianta e per un certo tempo (aprile-maggio) coesistono con quelli del ciclo produttivo successivo. Il periodo di raccolta è piuttosto ampio e può variare da metà marzo a tutto maggio; si conservano bene anche in post-raccolta. La produzione, a livello mondiale, è prevalentemente destinata alla trasformazione industriale, in quanto i frutti sono pressoché apireni e presentano alta resa in succo. In Italia questa cultivar che, come detto, a partire dagli anni ’70-’80 ha praticamente sostituito l’Ovale, si è diffusa abbastanza rapidamente e inizialmente ha avuto buon esito mercantile; tuttavia, con il crescere della produzione l’interesse è scemato anche perché la qualità dei frutti prodotti non sempre è ottimale, probabilmente a causa di un’insufficiente disponibilità di calore; nell’ambito dell’arancio, infatti, la Valencia è la cultivar a maggior fabbisogno in caldo. Il diminuito apprezzamento, inoltre, è imputabile all’avvento di cultivar Navel tardive, come la Lane Late, maggiormente gradite dal consumatore. Esistono diversi cloni di Valencia, i più importanti dei quali sono Olinda, Frost, Hughes e Campbell. In Italia, a cura dell’Università di Catania, sono stati introdotti e osservati i cloni Delta e Midknight originari del Sud Africa; entrambi producono frutti di buona qualità che maturano 3-4 settimane prima rispetto a quelli di Valencia Late e resistono a lungo sulla pianta. Altre cultivar straniere di un certo rilievo sono Cadenera, Berna e Salustiana in Spagna, Hamlin e Pineapple in Florida, destinate esclusivamente all’estrazione dei succhi, Pera in Brasile, anch’essa destinata all’industria e Shamouti in Israele; nessuna di queste ha avuto mai diffusione in Italia.

Valencia Delta

Bionde Navel Tutte le cultivar di questo raggruppamento producono frutti con una cicatrice stilare più o meno ampia tale da ricordare la cicatrice ombelicale, da cui il nome. Ciò è dovuto al fenomeno della sincarpia (più frutti in uno) che dà luogo alla formazione di un frutticino parzialmente sviluppato derivante da un secondo verticillo di carpelli. Questo si colloca nella parte distale del frutto principale determinando una certa pressione verso l’esterno, causa della mancata cicatrizzazione regolare nel punto di distacco dello stilo dall’ovario. Altra caratteristica costante dei frutti è l’apirenia: poiché i fiori sono sterili, le antere non producono polline e l’embriosacco regredisce precocemente. Nella polpa si riscontrano tracce di semi non sviluppati, rappresentati dai tegumenti seminali. I frutti non sono ottimali per la trasformazione industriale perché, in genere, presentano bassa resa in succo e alti valori di limonina;

Valencia Midknight

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ricerca la non elevata succosità non costituisce un limite per il consumo fresco anzi conferisce maggiore croccantezza alla polpa. Nessuna cultivar Navel ha avuto origine in Italia. Origini della Washington Navel

Washington Navel. È la capostipite delle cultivar di questo gruppo; deriva da una mutazione gemmaria di Selecta, che a sua volta avrebbe avuto origine in Portogallo dall’arancio “de Umbigo” già descritto all’inizio del XIX secolo. Dopo la Valencia è la cultivar più diffusa nel mondo. I frutti sono di pezzatura medio-elevata, maturano a partire da gennaio e possono essere raccolti fino a tutto febbraio. È presente nei principali Paesi agrumicoli del mondo. In Italia, inizialmente, è stata introdotta una linea denominata Brasiliano che ha avuto il centro di maggiore diffusione a Ribera, in provincia di Agrigento; la sua produzione ha rifornito i mercati del Meridione d’Italia e in particolare di Palermo. Ne esistono due cloni: Brasiliano m500, risanato mediante microinnesto presso l’Università di Catania e Brasiliano nucellare 92 selezionato presso il Centro di Miglioramento Genetico di Palermo. Successivamente è stata importata la linea nucellare C.E.S.3033 costituita da Frost in California. Quest’ultima, che si è moderatamente diffusa in Sicilia, Basilicata e Sardegna, non sempre esprime elevata produttività.

• Sembra che la Washington Navel abbia emesso i primi vagiti intorno al 1820 a San Salvador de Bahia, in Brasile, dove avrebbe avuto origine da mutazione spontanea di una pianta di arancio Selecta; inizialmente venne chiamata “Bahia” e per i primi cinquant’anni conservò tale denominazione

• Fu a seguito della corrispondenza

tra un missionario presbiteriano che dimorava in Brasile e W. Sanders, tecnico del Dipartimento di Agricoltura di Washington, che nel 1870 fu importato materiale di propagazione presso il suddetto dipartimento. Delle piante moltiplicate per innesto, nel 1875, tre furono inviate in California a Luther ed Elizabeth Tibbets, che le impiantarono nel loro giardino a Riverside

Navelina. È una mutazione originaria della California inizialmente denominata “Early Navel”. Le principali differenze con la Washington Navel consistono nella minore taglia della pianta e nell’anticipo di maturazione di circa tre settimane. I frutti sono leggermente più piccoli, la produttività è buona e costante. Più o meno diffusa nei principali Paesi agrumicoli, nel bacino del Mediterraneo è particolarmente affermata in Spagna e Italia. Nel nostro Paese la sua

• Per sottolineare l’importanza che a

questa cultivar via via è stata attribuita basti ricordare che a Riverside la pianta considerata capostipite costituisce il monumento storico numero 20 della California e non c’è ricercatore che transiti da quelle parti senza renderle omaggio

• Non tutti gli studiosi, però, concordano

con le suddette origini; esistono diversi indizi che fanno supporre una sua presenza in Portogallo antecedente al 1820. Tuttavia, solo dopo l’introduzione negli Stati Uniti ha inizio la sua notevole diffusione

Arancia ombelicata

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In evidenza la presenza di un secondo frutticino


arancio diffusione ha avuto inizio negli anni ’70 e rapidamente ha avuto riscontri positivi di mercato in virtù della sua precocità. Il moderato sviluppo della pianta, peraltro, ha consentito di aumentare la densità degli impianti facendo ottenere elevate produzioni per ettaro. Nelle aree costiere dove si esalta la precocità, la raccolta può essere effettuata a inizio ottobre, quando la buccia presenta ancora una pigmentazione insufficiente; in questo periodo, in genere, si fa ricorso alla pratica della deverdizzazione comunemente chiamata “stufatura”. Il successo iniziale ha fatto sì che questa cultivar venisse impiantata anche in aree non precoci col risultato di accrescere la disponibilità di frutti nei mesi di novembre e dicembre, quando già sul mercato sono presenti produzioni di tipo pigmentato preferite dal consumatore. Attualmente si dispone di tre cloni: uno di origine nucellare, Navelina ISA 315, e due da microinnesto, Navelina m35 e Navelina V.C.R. Navelina m35

Newhall. Questa cultivar, anch’essa originaria della California come mutazione di W. Navel, è molto simile alla Navelina per epoca di maturazione e produttività, i frutti sono leggermente più allungati e anticipano di qualche giorno la pigmentazione della buccia. È abbastanza diffusa in Spagna e anche in Italia sta suscitando un certo interesse; ne esistono diverse selezioni, le più note delle quali sono INIALES 55/1, SRA 182 e V.C.R.

Newhall Brasiliano m500

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ricerca Navelate. È una mutazione di W. Navel rinvenuta in Spagna nel 1948 e rilasciata per la propagazione dieci anni dopo. Il Paese dove si è maggiormente diffusa è quello di origine; in tutti gli altri in cui è stata introdotta, compresa l’Italia, ha avuto poco successo a causa della bassa produttività. In Spagna per attenuare tale difetto si fa ricorso all’uso di fitoregolatori alliganti e a incisione anulare. I frutti, di ottima qualità, sono di pezzatura medio-elevata, di forma tendente all’ovale e di ottimo sapore; l’epoca di maturazione è medio-tardiva; anche se il valore del rapporto di maturazione è già idoneo per il consumo a partire da gennaio, i frutti si mantengono bene sulla pianta fino a marzo-aprile. Lane Late. Attualmente è la cultivar Navel tardiva di maggiore interesse. Il suo nome le deriva dal signor L. Lane Curlwaa, proprietario dell’azienda in cui è stata rinvenuta la mutazione su una pianta di W. Navel in Australia nel 1950. La pianta è molto simile a quella di W. Navel e anche i frutti si somigliano; quelli di Lane Late hanno una buccia più sottile e più liscia, un ombelico più piccolo e dei solchi piuttosto pronunciati che dalla zona calicina si possono estendere fino alla zona equatoriale. I frutti, che già a fine gennaio presentano valori sufficienti del rapporto di maturazione, resistono bene sulla pianta per oltre tre mesi. In Australia, dove questa cultivar rappresenta circa il 30% della produzione dei Navel, la raccolta si protrae sino a fine ottobre, in Spagna, Italia e altri Paesi dell’emisfero boreale sino ad aprile/maggio. Le prime osservazioni condotte presso l’Università di Catania ne hanno confermato tutte le caratteristiche positive e fino a stagione inoltrata non si sono manifestati casi di cascola pre-raccolta e/o di granulazione, fenomeni che con una certa frequenza sono stati segnalati in California, dove si sconsiglia l’impiego di portinnesti tipo limone. Negli ultimi anni, nella parte finale della campagna di commercializzazione, i frutti di Lane Late, maggiormente graditi dai consumatori, tendono a sostituire quelli di Valencia.

Lane Late

Cara Cara. Il nome coincide con quello dell’azienda in cui è stata scoperta la mutazione su una pianta di W. Navel nella provincia di Valencia, in Venezuela, nel 1976. La particolarità di questa cultivar è che i suoi frutti presentano un’intensa e uniforme pigmentazione rossa della polpa, molto simile a quella dei frutti del pompelmo Star Ruby, il pigmento che conferisce tale caratteristica, infatti, è il licopene e non gli antociani. Altra peculiarità di questi frutti è che con la spremitura la pigmentazione si trasmette solo in parte al succo, che appare leggermente rosato. Le restanti caratteristiche dei frutti, compresa l’epoca di maturazione, sono pressoché identiche a quelle di W. Navel e anche la pianta è molto simile.

Cara Cara

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arancio Presenta una certa diffusione in California e in Spagna dove è stata introdotta rispettivamente nel 1987 e nel 1988; in Italia si stanno realizzando i primi impianti. Esistono diverse altre cultivar di Navel; tra le tardive particolare interesse stanno suscitando Powell e Chislett, mutazioni individuate in Australia i cui frutti possono essere raccolti un paio di settimane dopo rispetto a quelli di Lane Late. Le prime osservazioni condotte in Italia presso l’Università di Catania hanno confermato tali caratteristiche ribadendo, peraltro, che l’espressione della tardività dei frutti delle cultivar Navel non è dovuta all’evoluzione dei processi di maturazione interna, ma alla loro capacità di mantenersi a lungo sulla pianta senza manifestare fenomeni di senescenza. Altre tardive sono Summer Gold e Rhode Late. Tra le precoci un certo interesse sta riscuotendo la Fukumoto, con epoca di maturazione più o meno coincidente con quella di Navelina e Newhall. Oltre che in Giappone, Paese di origine, si sta diffondendo in California e Australia; in Italia non si dispone ancora di risultati circa il suo comportamento. Recentemente in Australia presso la Chislett Developments è stata segnalata una nuova mutazione di Navelina denominata M7, i cui frutti anticiperebbero di un paio di settimane la maturazione; a oggi gli unici dati disponibili sono quelli ottenuti nel luogo di origine.

Deverdizzazione

• Nei frutti di agrumi prodotti da cultivar

a epoca di maturazione precoce, specie se provenienti da aree dove il decorso climatico di inizio autunno si mantiene piuttosto mite, quando i valori del rapporto di maturazione raggiungono livelli idonei per la commercializzazione, la buccia può presentare ancora un colore più o meno verde. Ciò è dovuto al permanere della clorofilla, la cui biodegradazione è favorita dalle basse temperature

• Considerato che il consumatore

associa il concetto di maturazione alla pigmentazione della buccia, si può fare ricorso alla pratica della deverdizzazione (stufatura). I frutti per un certo tempo (24-72 ore) vengono posti in ambiente controllato dove, oltre a regolare la temperatura, si immette etilene, ormone tipico della maturazione che provoca la scomparsa della clorofilla il cui persistere maschera la piena colorazione. Questa tecnica, affinché dia buoni risultati, deve essere eseguita quando i frutti hanno già sintetizzato i giusti livelli di pigmenti tipici quali carotenoidi, xantofille e antociani

Pigmentate Non si ha certezza della data e del luogo in cui per la prima volta compare una pianta che produce frutti a polpa rossa. Il primo a farne cenno sembra essere il Ferrari a metà del XVII secolo in Hesperides. Nel libro IV della trattazione si parla di mele d’oro che fanno risplendere le isole in cui vengono coltivate (le Filippine). Di tali frutti vengono distinti cinque generi (quinquplicis generis); uno di questi presenta la polpa di colore rosso e sa di uva ma è straordinariamente differente (sapiat uvam [...] mire dispar). L’autore racconta di aver sentito (audivi flavescere) notizie di questi straordinari frutti da un monaco del suo stesso ordine che a lungo e con vantaggio per la salute si era trattenuto nelle isole. In seguito, Risso e Poiteau, all’inizio del XIX secolo, descrivono alcune tipologie di frutti pigmentati quali l’Oranger à pulpe Rouge (Citrus aurantium hirochunticum), l’Oranger piriforme, l’Oranger de Gènes e l’Oranger de Malte. Solo dopo qualche secolo in Italia è Giuseppe Insenga in Agrumi siciliani a fare menzione dell’arancio ovale sanguigno (Citrus aurantium ellipticum Nobis); va ricordato che al tempo l’arancio amaro e l’arancio dolce erano considerati due varietà della stessa specie.

Succo rosso

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ricerca In seguito, nel 1935, in L’Agricoltura siciliana, è il Casella a fare un’esauriente rassegna delle varietà pigmentate fino ad allora conosciute e più o meno diffuse in coltura: – Tarocco o T. propriamente detto o T. dal Muso; – T. Liscio o T. Ovale o Calabrese sanguigno; – Tarocchino; – Sanguinello comune o Sanguigno a pignu, Sanguinello moscato e Sanguinello moscato doppio; – doppio sanguigno Signorelli; – Ovaletto sanguigno; – Vaccaro; – Moro o Selezionato o Belladonna sanguigno; – Sanguigno Zuccherino; – Sanguigni di spina o di “ariddu” . Leggendo la descrizione dell’autore si evince come nel caso della Sanguigno più che di una varietà si trattasse di una popolazione comprendente genotipi simili, con differenze ora minime ora marcate. A volte, infatti, si trattava di ben individuate mutazioni gemmarie, a volte di semplici semenzali. I Sanguigni, tuttavia, hanno avuto il merito di aver costituito quasi certamente la base genetica di partenza che ha dato origine alle più pregiate varietà di Sanguinello, di Moro e di Tarocco. Il primo autore a parlare della Tarocco è il Casella: “questa varietà deve il nome alla forma che si avvicina a quella di una trottola. Conosciuta nei primi anni di questo secolo (1900) si è diffusa da qualche decennio in qua. La sua culla è stata Piedagaggi di Carlentini nella provincia di Siracusa. Di Naro Gesualdo la riscontrò in un agrumeto in contrada Carbone, donde si è diffusa in altre contrade dello stesso territorio (Buonafede, Cassinino, Viciniori etc.) e in molte altre zone agrumetate della provincia di Siracusa (Lentini, Francofonte, etc.), di Catania (zone etnee e del circondario), di Caltagirone e di Messina (Francavilla di Sicilia). Si può dire che non vi è oggi territorio agrumetato dove il Tarocco non sia stato introdotto o non si vada introducendo”. Non dice l’autore qual è l’origine genetica, ma molto probabilmente si tratta di una mutazione spontanea di altra cultivar a polpa rossa di più antica esistenza. Ne descrive tre tipi: il Tarocco propriamente detto o Tarocco dal Muso o Tarocco di Francofonte, il Tarocco Liscio o Tarocco Ovale o Calabrese sanguigno e il Tarocchino. Il più importante è sicuramente il primo che è ancora oggi apprezzato per la forma caratteristica dei frutti, la pezzatura e il sapore; nel tempo per successive mutazioni ha dato origine a diversi altri cloni attualmente in coltura di cui si dirà in seguito. Scarso riscontro ha avuto il Tarocco Liscio mentre una certa diffusione ha avuto il Tarocchino, apprezzato per il buon sapore; la denominazione è dovuta alla forma dei frutti che è simile a quella del Tarocco e alla pezzatura più piccola, ma in realtà si tratta di un tipo di Sanguinello.

Tarocchino

Frutti di Moro a piena maturazione

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arancio Altra importante varietà trattata dal Casella senza indicarne la derivazione genetica è l’arancio Moro o Selezionato o Belladonna sanguigno, così descritto: “è una varietà la cui coltivazione si è diffusa nell’ultimo decennio quasi unicamente in agro di Lentini ed un po’ in quello di Carlentini, ove continua a diffondersi. A Lentini è conosciuta anche col nome di Selezionato ed è talvolta detta anche Vaccaro, denominazione quest’ultima assolutamente errata, perché appartiene a varietà perfettamente distinta. Il frutto è un po’ tozzo, ha pezzatura quasi sempre inferiore alla media, pericarpo mediamente spesso ed aderente al resto, endocarpo a logge ben sviluppate, con emergenze di colore rosso violaceo ricordante quello dei sorosi del Morus nigra L., semi assenti o quasi, sapore piuttosto gradevole che peggiora fino a diventare sgradevole a maturazione avanzata o dopo un lungo periodo di conservazione”. La colorazione delle emergenze avviene molto per tempo, prima ancora che l’esocarpo ingiallisca e costituisce il principale carattere diagnostico delle varietà. Successivamente molti altri autori hanno descritto varietà di arancio a polpa rossa e principalmente cloni di Tarocco, come vedremo più avanti. Nel panorama agrumicolo mondiale la produzione di arance rosse riguarda quasi esclusivamente l’Italia; in altri Paesi varietà pigmentate sono presenti più o meno sporadicamente e mai forniscono produzioni di una certa entità. Ciò, principalmente, è imputabile alla bassa plasticità che esse presentano, specie per quanto riguarda i fattori climatici. In Italia, peraltro, non in tutte le regioni agrumicole esprimono al meglio le loro caratteristiche produttive e nella stessa Sicilia, che è la regione più importante, non tutte le aree risultano ugualmente idonee. Le province maggiormente interessate sono quelle di Catania, Siracusa ed Enna. La produzione italiana di arance rosse attualmente si avvicina a 1 milione di tonnellate e rappresenta circa il 50% di quella arancicola totale. Nel passato intercettava una quota maggiore, fino a raggiungere oltre il 70% tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80. Negli ultimi 40 anni, mentre la produzione delle pigmentate è cresciuta di poco, quella delle bionde si è quasi raddoppiata in seguito alla consistente diffusione delle cultivar Valencia e Navelina, specie quest’ultima in virtù della sua precocità ed elevata produttività. In Sicilia le proporzioni sono diverse, i frutti a polpa rossa incidono per circa il 70%. Nell’ambito del gruppo, nel tempo si è avuta una sostanziale modifica della composizione varietale che ha visto crescere notevolmente la diffusione della cultivar Tarocco mentre si sono ridotte le superfici destinate alle cultivar Moro e Sanguinello. Del tutto scomparse, ormai, le cultivar del gruppo Sanguigni. La colorazione tipica che caratterizza i frutti di tutte le cultivar di questo raggruppamento è dovuta alla presenza di pigmenti rossi appartenenti alla classe delle antocianine; quella presente in maggiore concentrazione è la cianidina-3-glucoside

Clima e pigmentazione

• La pigmentazione, oltre che dal

genotipo, è influenzata da fattori ambientali, in particolare dal clima; nelle annate con temperature minime più basse risulta più intensa. I frutti prodotti dalla parte di pianta esposta a tramontana pigmentano prima e di più di quelli esposti a mezzogiorno. Altro fattore è dato dall’escursione termica tra giorno e notte: più ampio è questo intervallo, maggiore è la sintesi. In diverse aree della piana di Catania dove il massiccio dell’Etna determina forti escursioni giornaliere la pigmentazione è massima. Anche la luce sembra svolgere una certa funzione. In seno alla chioma i frutti situati verso l’esterno pigmentano di più rispetto a quelli posti più all’interno e nello stesso frutto la parte rivolta verso l’esterno accumula più antocianine rispetto alla parte rivolta verso l’interno; i frutti di piante non potate o di impianti piuttosto fitti sono meno colorati

Gesualdo Di Naro, agricoltore di Francofonte

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ricerca (CY3G). Gli antociani trovano sede allo stato di soluzione nei vacuoli cellulari detti cianoplasti. L’intensità della colorazione rossa è variabile ed è correlata a fattori genetici e ambientali; i frutti della stessa varietà, infatti, in annate diverse e/o in luoghi differenti, possono presentare varia intensità di pigmentazione. Inoltre, non c’è sempre correlazione tra la pigmentazione interna ed esterna: in genere i frutti del gruppo Sanguigni pigmentano di più all’esterno, quelli dei Sanguinelli si comportano all’opposto, quelli di Moro raggiungono una colorazione intensa sia interna che esterna, quelli di Tarocco si comportano in modo variabile in funzione del clone. Solitamente la polpa comincia a pigmentare prima rispetto alla buccia. Circa la funzione degli antociani nell’economia dei vegetali le teo­ rie sono diverse: – esplicherebbero una funzione protettiva sui cloroplasti dalla luce troppo intensa; – eserciterebbero una funzione protettiva contro il gelo per l’azione termogenica che essi sarebbero capaci di esplicare in rapporto all’assorbimento delle radiazioni a maggiore lunghezza d’onda; – indurrebbero un abbassamento del punto di congelamento. Certo è che le piante di ambienti a inverni rigidi nella stagione fredda perdono le foglie e vanno in dormienza per meglio difendersi dalle basse temperature; la formazione delle antocianine in autunno potrebbe essere interpretata come un tentativo di difesa dalle minime termiche e di resistenza nei confronti dei fenomeni di senescenza che precedono l’abbandono delle foglie “morte”. Si tratterebbe di una morte benefica, considerato che rappresenta una strategia efficace affinché la pianta possa superare periodi avversi, riducendo al minimo i processi vitali, per poi riprendere in primavera il ciclo successivo. Le ipotesi su esposte non sono certo applicabili per spiegare le funzioni degli antociani nelle arance; tuttavia, come nelle foglie, la loro sintesi si realizza durante i processi di maturazione ovvero a fine ciclo e in corrispondenza di abbassamenti termici. Relativamente agli aspetti salutistici, è da sottolineare che le antocianine hanno un forte potere antiossidante, poiché tendono a ostacolare i radicali liberi che sono causa dei processi d’invecchiamento e di degenerazione cellulare. Inoltre, sono in grado di prevenire patologie dell’apparato digerente come gastrite e ulcera grazie alla loro azione protettiva della mucosa gastrica e delle pareti dei vasi sanguigni; quest’ultima funzione è anche in grado di limitare i danni a carico dell’apparato cardiocircolatorio. L’elevato potere antiossidante della CY3G pare sia da attribuire a un effetto sinergico che si instaura con le altre sostanze antiossidanti presenti in questi frutti come flavononi, acidi idrossicinnamici e acido ascorbico. Indagini condotte su popolazioni nella cui dieta era stato previsto il consumo di arance rosse o dei relativi succhi hanno rilevato una minore frequenza di patologie tumorali.

Peculiarità delle arance rosse

• Oltre che per la presenza di antocianine le arance rosse si distinguono per diverse altre caratteristiche:

- presentano più alti valori di vitamina C; questa nei diversi frutti di agrumi raggiunge valori tra 50 e 60 mg per 100 ml; il succo rosso, in particolare quello dei frutti di Tarocco, raggiunge valori di oltre 70 mg; - sia i frutti che il succo sono di gusto particolarmente gradevole, dato da un rapporto armonico tra zuccheri e acidi e da una serie di sostanze aromatiche quali il limonene, il butanoato di etile e gli esanoli; - i succhi rossi, inoltre, si contraddistinguono per il più alto contenuto di acidi idrossicinnamici e per i maggiori livelli di acido cumarico; - i contenuti di acidi durante l’evoluzione dei processi di maturazione non si abbassano mai al punto da conferire un sapore piuttosto scialbo

Sanguinello Vaccaro

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arancio Sanguigni. Si solevano distinguere in Sanguigno comune e Sanguigno doppio ma in realtà all’interno di ciascuna cultivar erano compresi diversi genotipi più o meno differenti, spesso derivanti da seme. La pigmentazione si manifestava di più all’esterno, a maturazione; la buccia, specie quella dei frutti di Sanguigno doppio, assumeva una colorazione rosso-violacea dovuta alla maggiore concentrazione di una specifica antocianina, la delfinidina-3-glucoside. All’attacco peduncolare, attorno alla rosetta, si formava una certa concavità dove si accumulava acqua che diveniva causa di cascola pre-raccolta. Non si trattava di cultivar di pregio, ma all’inizio dello scorso secolo in Sicilia rappresentavano la prima arancicoltura a frutti pigmentati e comunque hanno costituito la base genetica da cui sono derivate le successive pigmentate. Sanguinelli. Questo gruppo comprende diverse selezioni alcune delle quali di un certo pregio come il Sanguinello moscato e il Sanguinello moscato Cuscunà di cui negli anni ’50 presso il CRAACM di Acireale sono state costituite le rispettive linee nucellari. Hanno avuto discreta diffusione, oltre che per la buona qualità dei frutti, per la tardiva epoca di maturazione; la raccolta poteva essere protratta fino a marzo. Attualmente esiste ancora un certo numero di impianti commerciali, ma difficilmente se ne costituiscono altri da quando si sono resi disponibili cloni di Tarocco tardivi. Nella vecchia agrumicoltura siciliana un certo ruolo ha avuto il Sanguinello Vaccaro. I suoi frutti presentavano buccia intensamente pigmentata e per questa peculiarità spesso venivano mischiati ad altre partite di arance per dare maggiore colore; erano pure apprezzati per la compattezza della buccia che conferiva particolare resistenza ai trasporti. Altri genotipi sono afferibili ai Sanguinelli: il già citato Tarocchino, i cui frutti hanno forma e grana simile a quella dei Tarocchi, da cui il nome, mentre le caratteristiche interne sono tipiche del Sanguinello e l’Ovaletto, che prende il nome dalla forma dei frutti che ricordano quella dei frutti di Ovale ma sono di pezzatura minore; il Casella lo aveva denominato Ovaletto sanguigno.

Sanguigno doppio

Moro. È la cultivar che pigmenta di più: a piena maturazione sia la polpa sia la buccia presentano una colorazione tra il rosso intenso e il violaceo. A maturazione avanzata, quando si abbassano i contenuti di acidi, i frutti assumono un sapore caratteristico (odore di cimice) dovuto a processi ossidativi a carico delle antocianine. La raccolta non dovrebbe protrarsi oltre febbraio. Di tutte le pigmentate è quella che presenta maggiore stabilità genetica e perciò non ha dato luogo a mutazioni gemmarie: ne è stata descritta solo una da Spina nel 1959 denominata Moro Bonfiglio. Sostanzialmente si è diffuso un solo genotipo, del quale

Sanguinello moscato

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ricerca esiste una linea nucellare costituita presso il CRA-ACM di Acireale, la Moro 58-8D-1, e una linea risanata mediante microinnesto presso l’Università di Catania, la Moro m45. Da alcuni decenni le superfici coltivate con questa cultivar hanno subito una progressiva contrazione, e molti impianti sono stati estirpati o reinnestati. Da qualche anno si avverte un certo interesse in virtù di un possibile impiego nell’industria di trasformazione anche per tagliare altri succhi scarsamente pigmentati. Tarocco. Ormai è riduttivo parlare al singolare della cultivar Tarocco considerato che al suo interno sono stati individuati e descritti parecchi cloni con caratteristiche assai diverse relativamente all’epoca di maturazione, alla forma dei frutti e ai livelli di pigmentazione. Già negli anni ’60 esisteva una linea nucellare, il Tarocco nucellare 57-1E-1, che costituiva l’unica distinzione rispetto alla restante popolazione coltivata in modo indifferenziato e denominata genericamente Tarocco vecchio clone. Successivamente, sono state rinvenute e osservate tutta una serie di mutazioni gemmarie spontanee, attualmente più o meno diffuse principalmente nelle aree agrumicole siciliane. Dei cloni di maggiore interesse, di seguito, si descrivono le caratteristiche salienti.

Moro nucellare 58-8D-1

Tarocco nucellare 57-1E-1. Si tratta della prima selezione di Tarocco, costituita nel 1957 presso l’allora Istituto Sperimentale per l’Agrumicoltura di Acireale; come detto la sua diffusione ha avuto inizio negli anni ’60 e si è affermata piuttosto rapidamente malgrado, inizialmente, presentasse una fase giovanile piuttosto lunga. Va ricordato che al tempo, per accedere alle provvidenze vigenti, i nuovi impianti di Tarocco dovevano essere realizzati con questa linea e solo dopo diversi anni sono stati ammessi via via altri cloni, primi tra questi il Tarocco Galici e il Tarocco Catania. Oltre che per la lunga fase giovanile si caratterizzava per l’elevata vigoria e la notevole presenza di spine; col passare del tempo e con i diversi passaggi d’innesto, la durata della fase giovanile è diminuita e le piante possono entrare in produzione già al terzoquarto anno. Una pianta adulta può produrre oltre 2 quintali di frutti in virtù del notevole sviluppo della chioma che, per contro, non consente densità superiori a 300-350 piante per ettaro. L’epoca di maturazione è piuttosto precoce; nelle zone costiere la raccolta può avere inizio nella prima metà di dicembre e continuare per tutto gennaio, periodo oltre il quale i frutti possono essere soggetti a cascola e a fenomeni di senescenza, mentre nelle aree più interne può essere ritardata di qualche mese. I frutti sono di pezzatura media, subsferici, a grana fine e pigmentano poco sia all’interno sia nella buccia; i principali pregi sono la precocità e la produttività, il maggiore difetto la spinescenza che, specie in presenza di vento, è causa di ferite ai frutti.

Tarocco nucellare 57-1E-1

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arancio Tarocco dal Muso. Tra i cloni di più antica coltivazione, si caratterizza per la pezzatura medio-elevata dei frutti e per la presenza di un lobo pedicellare piuttosto pronunciato, da cui la denominazione. La pianta è sensibile al vento e tende a fruttificare nella parte più bassa e interna della chioma; le foglie sono di colore verde chiaro, i fiori spesso derivano da gemme miste e perciò sono terminali di un germoglio di circa 10 cm; ne consegue che la fioritura non è mai molto intensa ma la produttività è buona in virtù di una elevata allegagione. I frutti, pur presentando bassi livelli di pigmentazione, sono apprezzati per la pezzatura, per la buccia sottile e a grana fine, per la forma classica della Tarocco e per l’elevata succosità; l’epoca di maturazione cade tra febbraio e marzo. Tarocco Scirè. È il clone che ha avuto la maggiore diffusione negli ultimi venti anni sia come nuovi impianti sia come reinnesti; oltre che per la produttività e la qualità dei frutti, probabilmente, il particolare apprezzamento gli deriva dalla buona persistenza dei frutti sulla pianta, caratteristica non frequente nell’ambito delle pigmentate. Il rapporto di maturazione presenta valori intorno a 8 già a inizio gennaio, ma poiché i contenuti di acidi diminuiscono molto lentamente la produzione si mantiene bene sulla pianta fino a febbraio-marzo e pertanto la raccolta può essere effettuata in un arco di tempo superiore a due mesi. I frutti sono di pezzatura media, forma subsferica con buccia di spessore medio e tessitura compatta; la pigmentazione antocianica è piuttosto bassa. La pianta è di vigore medio-elevato. Le foglie sono di colore verde intenso e presentano una certa eterofillia; quelle di piante giovani o di rami assurgenti sono a lamina particolarmente espansa e a sviluppo irregolare. In terreni non profondi e/o poco fertili la pezzatura dei frutti può risultare insufficiente, specie in caso di alta produzione. Si dispone di una linea nucellare, Arancio Tarocco Scirè nucellare D 2071, e di due linee risanate mediante microinnesto, Arancio Tarocco Scirè V.C.R. e Tarocco Scirè m11.

Tarocco dal Muso

Tarocco Gallo. Ha avuto una certa diffusione per la precoce epoca di maturazione e la buona qualità dei frutti, che sono di sapore gradevole, di buona pezzatura e di forma leggermente ovale con umbone pedicellare poco pronunciato. In aree precoci il valore del rapporto di maturazione raggiunge livelli idonei per il consumo a partire da metà dicembre, quando la buccia può ancora presentare chiazze di colore verde chiaro. La pigmentazione antocianica è pressoché assente nella buccia mentre la polpa pigmenta di più. La resistenza dei frutti sulla pianta è piuttosto bassa e a piena maturazione sono frequenti fenomeni di cascola.

Tarocco Scirè

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ricerca Tarocco rosso. Si tratta di un clone a media epoca di maturazione; risulta interessante per l’intensa pigmentazione della polpa e della buccia che a piena maturazione presenta un colore rosso vellutato. Questa caratteristica, tuttavia, non si esprime in modo costante negli anni e nei diversi luoghi di coltivazione; andrebbe coltivato in quegli ambienti in grado di esaltare la biosintesi dei pigmenti antocianici. Tarocco Sciara. Sia la pianta che i frutti sono molto simili a quelli di Tarocco dal Muso e anche l’epoca di maturazione è più o meno coincidente. Negli ultimi anni sta suscitando un certo interesse, specie per l’elevata pezzatura dei frutti e la buona produttività. Si dispone di una linea nucellare ottenuta mediante coltura in vitro di ovuli non sviluppati presso il CRA-ACM di Acireale, denominata Arancio Tarocco Sciara nucellare C1882. Tarocco Ippolito. Deriva da una mutazione rinvenuta nei primi anni ’90 nel lentinese; le prime osservazioni condotte presso l’Università di Catania hanno consentito di esprimere giudizi positivi riguardanti diverse caratteristiche dei frutti. Tra queste la più rilevante è l’intensa pigmentazione, specie della polpa: dopo la cultivar Moro i frutti di Ippolito sono quelli che presentano i più alti contenuti di antociani. La pezzatura è piuttosto elevata, la forma leggermente ovale con lobo pedicellare appena accennato; la buccia è di spessore medio, a grana fine, a tessitura compatta e presenta screziature rosso-vinose.

Tarocco rosso

Tarocco Ippolito Impianto di Tarocco Sciara

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arancio Il sapore è particolarmente gradevole dato da un armonico rapporto tra zuccheri e acidi. La produttività è buona e i frutti resistono bene sulla pianta per un ampio periodo; la raccolta nelle aree precoci può avere inizio la prima metà di gennaio e proseguire per tutto febbraio e oltre nelle zone a vocazione tardiva. Ha già suscitato un certo interesse e diversi sono gli impianti costituiti, malgrado il breve tempo trascorso dalla sua scoperta. Tarocco Meli. È una selezione nucellare ottenuta nel 1988 da coltura in vitro di ovuli non sviluppati presso il CRA-ACM di Acireale; la pianta è di notevole sviluppo e piuttosto spinescente. Presenta una discreta diffusione ed è principalmente apprezzata per la tardiva epoca di maturazione (marzo-aprile) e la buona pezzatura. I frutti hanno forma tendenzialmente ellissoidale; la buccia è di spessore medio e pigmenta molto poco mentre la polpa raggiunge buoni livelli di pigmentazione. A piena maturazione i frutti perdono di consistenza e si possono verificare fenomeni di cascola.

Impianto di Tarocco Meli

Cloni di Tarocco e mercato

• Considerato l’ampio arco di tempo

in cui è possibile riscontrare sul mercato la presenza di frutti di Tarocco, sarebbe auspicabile che anche il consumatore cominciasse a distinguere le caratteristiche dei diversi cloni per meglio apprezzarne le peculiarità. A tale scopo sarà necessario che la raccolta, il confezionamento e l’etichettatura vengano effettuati in maniera distinta e ciò, a oggi, non sempre avviene. Può accadere che la stessa confezione contenga frutti provenienti da zone di coltivazioni diverse o, peggio, da cloni a diversa epoca di maturazione, con la conseguenza che nella stessa mensa possono arrivare frutti troppo e/o poco maturi. Affinché si instauri un rapporto di fidelizzazione tra produzione e consumo è indispensabile che i frutti vengano commercializzati quando esprimono al meglio le potenzialità qualitative tipiche di ciascun genotipo

Cloni tardivi di Tarocco

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ricerca Tarocco Sant’Alfio. È il clone più tardivo; il succo presenta valori del rapporto di maturazione intorno a 8 da fine febbraio, ma i frutti si mantengono bene sulla pianta fino a tutto maggio. La pezzatura è media, la forma è sferoidale; la buccia, sottile e a tessitura compatta, raggiunge livelli di pigmentazione antocianica piuttosto modesti, così come la polpa. L’epoca di maturazione particolarmente tardiva ne consente la presenza sul mercato in un periodo in cui i frutti di altre pigmentate o sono assenti o presentano segni di senescenza più o meno marcati. Esistono diverse altre linee di Tarocco: tra le precoci ricordiamo il Tarocco Tapi, il Tarocco TDV e il Tarocco Gabella, tra le tardive il Tarocco Messina e, per l’intensa pigmentazione dei suoi frutti, il Tarocco Lempso. Cultivar a basso contenuto di acidi Vaniglia apireno. Denominato anche Maltese, produce frutti a polpa bionda e a bassissima acidità che possono essere raccolti da dicembre a marzo. Veri e propri impianti commerciali, tranne qualche eccezione, esistono solo a Ribera, in provincia di Agrigento. La produzione è destinata ai mercati locali e in particolare quelli del palermitano; in altre aree è riscontrabile come piante sparse e negli orti familiari. La caratteristica di produrre frutti a bassa acidità è presente anche in altre specie di agrumi come limone e lima; sembra trattarsi di una mutazione che interferisce sulla biosintesi degli acidi organici.

Vaniglia apireno

Maltese sanguigno. Per quanto riguarda il sapore e i contenuti di acidi, i frutti di questa cultivar sono molto simili a quelli di Vaniglia apireno ma sono con semi, di pezzatura più piccola e pigmentati

Maltese sanguigno Impianto di Tarocco rosso

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arancio nella polpa e nell’albedo. La pigmentazione non è data dalle antocianine ma dal licopene. Il Maltese sanguigno non è mai stato coltivato in impianti commerciali. Malgrado la notevole crescita della produzione di cultivar bionde l’Italia continua a caratterizzarsi, a livello mondiale, come l’unico Paese che produce apprezzabili quantità di arance pigmentate di elevata qualità. Considerato che la diffusione raggiunta dalle cultivar bionde nel nostro Paese è ormai piuttosto alta, si ritiene auspicabile un’inversione di tendenza affinché le pigmentate possano tornare a rappresentare una più alta quota di produzione, come avveniva negli anni ’70-’80. A tale riguardo va sottolineato che attualmente esistono i presupposti per fornire ai consumatori frutti di alta qualità per un ampio arco di tempo. Rimanendo nell’ambito della Tarocco, che è la cultivar di maggiore pregio, mentre un tempo esauriva la sua produzione in un periodo concentrato (gennaio-febbraio) oggi si può essere presenti sul mercato da dicembre a maggio in virtù dei numerosi genotipi disponibili; solo quelli a oggi descritti sono una ventina e alcuni di essi presentano già una notevole diffusione.

Frutti di Tarocco Ippolito

Calendario di maturazione dei principali cloni di Tarocco Dicembre

Gennaio

Febbraio

Marzo

Aprile

Maggio

5 10 15 20 25 30 5 10 15 20 25 30 5 10 15 20 25 30 5 10 15 20 25 30 5 10 15 20 25 30 5 10 15 20 25 30 Tapi TDV 57-1E-1 Gabella Gallo Fondaconuovo Scirè Tringale n.l. Dal Muso Ippolito Lempso Rosso Vitale Sciara Giarretta Reina San Martino Piana Meli Messina a f. r. Sant’Alfio

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gli agrumi

ricerca Limone Giovanni Continella

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ricerca Limone Origine e diffusione Il limone [Citrus limon (L.) Burm. f.], sebbene sia un agrume ben distinto dal punto di vista agronomico e commerciale, non è da considerare una specie vera, ma di origine ibrida, coinvolgendo i genomi di una specie vera, il cedro (Citrus medica L.), e di un’altra specie derivata dal pummelo, probabilmente l’arancio amaro (Citrus aurantium L.). Dal limone vero e proprio derivano, per incrocio naturale con altri agrumi, diversi ibridi: – i limoni cedrati (Citrus limonimedica Lush.), utilizzati sia per il consumo diretto sia anche come sostituti del cedro in pasticceria (Spadafora, Piretto ecc.); – un “lemonange”, probabile incrocio di limone e arancio, denominato limone Meyer, usato come pianta ornamentale; – i “lemonime” (il più noto, tra questi ibridi con la lima, è il cosiddetto “limone Perrine”); – infine i lemandarin, originari della Cina meridionale dall’incrocio con il mandarino e denominati limonia rossa (hong ning-mong) e limonia bianca (bai ning-mong), utilizzati come portinnesti. Tra i limone-simili devono essere citati tre agrumi utilizzati oggi in tutto il mondo come portinnesti: il limone rugoso, noto internazionalmente come Rough lemon (Citrus jambhiri), il limone Volkameriano (Citrus volkameriana) e l’alemow (Citrus macrophylla), nonché due limoni-simili originari dell’India, galgal e katta, dove quest’ultimo è impiegato come portinnesto. La zona di origine del limone non è ben definita, ma la si riconduce a un areale che comprende il nord-est dell’India, il nord della

Raffigurazione del limone nell’opera di Antonio Targioni Tozzetti

Limonia rossa Limoneto moderno e razionale in Sicilia

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limone Birmania (Myanmar) e la provincia cinese dello Yunnan. In questi ambienti si sarebbe differenziato il limone, che non sarebbe stato introdotto nel Mediterraneo fino all’XI secolo, anche se frutti ad esso molto simili sono rappresentati negli affreschi della Casa del Frutteto di Pompei e nei mosaici della Villa del Casale di Piazza Armerina, che però probabilmente raffiguravano limoni cedrati. L’introduzione dei limoni nel Mediterraneo, e segnatamente in Sicilia, risale agli inizi del XII secolo, come testimonia Ugo Falcando che li descrive come lumias, e alcuni anni dopo in Spagna, nell’area di Siviglia, come asserisce Ibn al-Awwam. Il limone fu poi introdotto da Cristoforo Colombo, nel suo secondo viaggio (1493), nell’isola di Hispaniola (Haiti), da cui si diffuse nei diversi Paesi delle Americhe durante il secolo successivo, dagli olandesi in Sud Africa dove lo importarono nel 1654 e, infine, dagli inglesi in Australia dove giunse nel 1788. Oggi il limone ha consolidato la sua presenza, oltre che nei tradizionali paesi del bacino del Mediterraneo (particolarmente la Spagna, l’Italia, la Turchia e la Grecia), anche nell’America settentrionale (in particolare la California) e nell’America meridionale (prima fra tutte l’Argentina). In molti Paesi produttori a clima subtropicale, semitropicale o tropicale, la sua funzione viene svolta dalle lime acide, ovvero dalla lima messicana (Citrus aurantifolia), a frutto piccolo, e dalla lima Bearss (Citrus latifolia) a frutto relativamente grande, coltivate particolarmente in India, Egitto e Messico la prima, negli Stati Uniti (Florida) la seconda.

Limone o limone cedrato?

• L’antica presenza del limone nel bacino

del Mediterraneo, e particolarmente in Italia, sarebbe testimoniata, secondo alcuni autori (Tolkowski, Calabrese), da diverse sculture e pitture; tra queste, gli affreschi della Casa del Frutteto di Pompei. In realtà la conformazione esterna dei frutti di alcune varietà di limone cedrato (Piretto) è perfettamente simile a quella del limone

Morfologia e biologia Dal punto di vista morfologico il frutto si distingue dagli altri agrumi per la sua conformazione da ovale a ellittica e per la pre-

Affresco di un limone-simile nella Casa del Frutteto a Pompei Frutti di limone cedrato Piretto

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ricerca senza all’apice di una protuberanza detta umbone, più o meno pronunciata, che lo rende simile al seno di una donna, come viene rappresentato dal pittore spagnolo di Cordova Julio Romero de Torres (1880-1930) nella sua tela Naranjas y Limones. Dal punto di vista biologico, il limone si distingue dagli altri agrumi per la sua maggiore sensibilità alle basse temperature, superata solo da quella delle lime e del cedro. Ciò ha indotto gli agrumicoltori a metterlo in coltura in ambienti particolarmente miti, dove non si registrano gelate, per cui in Italia si trova nelle aree costiere a clima più dolce presenti in Sicilia, con oltre l’85% della limonicoltura nazionale, e in Calabria. In altri areali agrumicoli esso è dislocato in maniera oasistica, talvolta, come è il caso della penisola sorrentina, adeguatamente protetto dai freddi dalle classiche “pagliarelle” o, più di recente, da reti di plastica. Altra peculiarità biologica è costituita dall’attitudine alla rifiorenza che si manifesta in maniera variabile in relazione alla varietà. Nel caso di attitudine elevata e di condizioni ambientali particolarmente favorevoli, eventualmente potenziate dall’intervento agronomico della “forzatura”, si possono registrare le seguenti fruttificazioni, abbastanza distinte anche per alcuni aspetti morfologici: – i “marzani” provenienti da fioriture precocissime di fine marzo, che danno origine a frutti rotondeggianti con un tipico umbone schiacciato e che maturano nel settembre successivo; – i “limoni invernali” che comprendono i “limoni ammarsanati”, i “primofiore” e i “limoni biancuzzati”, tutti derivati dalla fioritura

Forzatura del limone

• La “forzatura del limone” è una tecnica agronomica escogitata in Sicilia. Consiste nel praticare uno stress idrico, denominato “secca”, qui abbastanza diffusa e poi adottata anche in altri Paesi. La sospensione della somministrazione di acqua irrigua viene effettuata in piena estate (luglio) fino a provocare una forte sofferenza, che si manifesta nella chioma con un iniziale appassimento. Successivamente, si interviene con ripetute irrigazioni e concimazioni azotate a cui segue il superamento dello stress con emissione di numerosi fiori che daranno origine a fruttificazioni fuori stagione che raggiungeranno la maturazione commerciale l’estate successiva e delle quali il gruppo centrale e più importante prende il nome di “verdelli”

Dipinto di Romero de Torres dal titolo Arance e limoni

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limone principale che si manifesta lungo i mesi di aprile, maggio e inizio di giugno e che maturano tra fine settembre e marzo; – i “bianchetti” e “biancuzzi”, caratterizzati da una buccia di colore giallo chiaro, provenienti da fiori in antesi tra fine giugno e luglio e che raggiungono la maturazione commerciale tra marzo e aprile; – la fioritura più fuori stagione di piena estate e che si protrae fino all’inizio dell’autunno; essa può essere esaltata dall’intervento per la “forzatura del limone” conseguente a uno stress idrico denominato in Sicilia “secca”. È quella che comprende fruttificazioni diverse denominate “maiolini”, “verdelli”, “agostari” e “bastardi”, che si raccolgono scalarmente da maggio fino a settembre, provenendo da fioriture avvenute da agosto a ottobre. Un’altra peculiarità del limone deriva dal suo comportamento verso alcune importanti malattie: mentre esso dimostra tolleranza verso la più importante e devastante malattia da virus, la tristeza, per converso è l’agrume più suscettibile al malsecco, malattia fungina che si sviluppa lungo i vasi conduttori portando al disseccamento di parte o dell’intera pianta. Questa gravissima malattia, comparsa in Italia negli anni ’30 del secolo scorso, ha condizionato lo sviluppo della coltura e, una volta accertati gli scarsi risultati della lotta chimica, ha imposto come risoluzione del problema il ricorso alla tolleranza o alla resistenza di tipo genetico.

Frutti di limone “verdello”

Varietà italiane Il materiale genetico un tempo in coltura era costituito da diversi tipi di limoni accomunati dalla denominazione di “Femminello comune”, dotato di elevata produttività e di buone caratteristiche agronomiche. Si trattava, dal punto di vista genetico, di una cultivar-popolazione, ovvero di materiale eterogeneo con comportamento abbastanza diversificato anche verso il nuovo temibilissimo parassita fungino. Gli esiti disastrosi dell’epidemia portarono alla decimazione dei limoneti, tanto che in un primo tempo si poté contrastare la malattia solo usando nuove varietà alternative, come Monachello e Interdonato, dotate di buona tolleranza o resistenza al parassita e con caratteri agronomici e merceologici diversi rispetto alla cultivar-popolazione Femminello. Successivamente, anche in virtù della selezione naturale operata dal malsecco, furono individuati nel corso degli anni alcuni cloni di Femminello che associavano alle buone caratteristiche agronomiche della cultivar una media o rilevante tolleranza alla malattia (Femminello Santa Teresa, Femminello Continella, Femminello Fior d’arancio, Femminello Dosaco, Adamo, Cerza ecc.). Oggi in Italia, le principali varietà di limoni in coltura sono autoctone, poiché quelle alloctone (spagnole e statunitensi in primo

Albero di limone con grave attacco di malsecco

Femminello Fior d’arancio

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ricerca luogo) hanno dimostrato elevata suscettibilità al malsecco; oltre al Femminello Comune, ancora presente negli impianti anziani e di mezza età, tutte le altre cultivar che vengono diffuse nel nostro Paese sono state risanate dalle malattie da virus quasi esclusivamente con la tecnica del microinnesto. Le principali cultivar sono descritte di seguito. – Il Femminello Fior d’arancio è denominato anche Femminello Zagara bianca perché è sprovvisto del caratteristico colore violaceo dei petali e dei giovani germogli che si manifesta in tutte le altre cultivar di limone. Gli alberi sono abbastanza vigorosi e assurgenti, con una tipica foglia arrotondata all’apice e sprovvisti di spine; la cultivar, che possiede una media tolleranza al malsecco ed è abbastanza rifiorente, presenta frutti di buone dimensioni e provvisti di pochi semi. – Il Femminello Siracusano, originatosi probabilmente a sud di Siracusa, presenta notevole vigore, portamento espanso, poche spine; i frutti, costituiti in larghissima prevalenza da “limoni invernali”, sono ricchi di semi, di cospicue dimensioni e conseguente buona precocità di maturazione commerciale. La sua modesta tolleranza al malsecco ne costituisce un limite nelle aree dove il fungo è particolarmente virulento. Dal Femminello Siracusano è stata ottenuta nel 1976 una selezione nucellare isolata da un frutto irradiato con raggi gamma, denominata 2KR, che accentua alcune caratteristiche positive della cultivar di provenienza, assieme alla quale costituisce la base genetica dell’IGP “Limone di Siracusa”.

Femminello Siracusano

Monachello

Sovraccrescimento del fusto della cultivar Monachello innestata su arancio amaro

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limone La presenza delle seguenti cultivar è ridotta e talora anche concentrata in oasi ben delimitate. – Il Monachello, rinvenuto nella costa ionica messinese, presenta una serie di caratteristiche morfologiche e biologiche che lo distinguono nettamente: l’albero ha una chioma globosa e pendula, i frutti sono quasi esclusivamente invernali per la sua scarsa attitudine alla rifiorenza e caratterizzati da una buccia liscia ma più o meno spessa, con conseguente minore resa in succo, che presenta un’acidità più bassa. Tra le peculiarità biologiche è negativa la sua scarsa compatibilità d’innesto con l’arancio amaro, che provoca un sovraccrescimento del fusto al di sopra del punto d’innesto e un conseguente progressivo deperimento dell’albero, per cui è necessario ricorrere ad altri portinnesti compatibili o all’interposizione di un intermediario. È invece positiva la sua elevata resistenza al malsecco, la sola ragione per cui è ancora presente, seppure in misura limitata (6-7%), nella limonicoltura italiana. – L’Interdonato è presente in maniera limitata nell’areale della provincia di Messina dove fu rinvenuto e denominato con il cognome dello scopritore. È una pianta di elevato vigore, poco spinescente e con portamento assurgente, che produce frutti (chiamati anche fini o speciali) caratteristici per la forma ellitticocilindrica, l’umbone pronunciato e appuntito, la buccia liscia, le dimensioni medio-grandi che vengono raggiunte rapidamente, prestandosi a essere raccolti molto precocemente a settembreottobre. Coltivato in un’area ristretta della costa ionica messi-

Femminello Continella

Una somiglianza

• Il limone Interdonato, rinvenuto oltre un secolo fa nella costa ionica messinese, ha una conformazione identica al limone raffigurato nel trattato Hesperides di Giovanni Battista Ferrari (1646); che si tratti della stessa entità?

Raffigurazione nell’Hesperides di G.B. Ferrari Interdonato

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ricerca nese, rappresenta meno del 2% della limonicoltura nazionale ed è qualificato dal marchio IGP; è stato da tempo introdotto e largamente coltivato in Turchia. – Il Femminello Continella è caratterizzato da un portamento contenuto, con foglie medio-piccole e brevi, numerose spine, nonché da alta predisposizione alla rifiorenza; i frutti sono apireni, di dimensioni medio-piccole, globosi e dotati di un piccolo umbone e di scorza sottile. Manifesta una soddisfacente tolleranza al malsecco nell’ambiente in cui è stato a suo tempo isolato (falde dell’Etna) e in cui viene limitatamente coltivato. Tra le molte altre tipologie di limone di origine siciliana ormai in via di estinzione (Femminello Incappucciato, Femminello Carrubbaro, Femminello Quattrocchi ecc.), va ricordata un’antica cultivar, denominata Lunario, volendo così indicare che la sua attitudine alla rifiorenza è tanto spiccata da prodursi con un ritmo mensile così come il ciclo lunare. Produce frutti di forma cilindrico-ellittica con una buccia molto liscia, un marcato lobo pedicellare, detto “collo”, e un umbone pronunciato. Oggi è esclusivamente adottata per produrre piante ornamentali. Delle oasi limonicole dell’Italia continentale si citano brevemente poche cultivar autoctone. – Il Femminello sfusato di Favazzina, coltivato nella costa tirrenica della Calabria che ha il suo centro a Scilla (RC), produce frutti ellittici e abbastanza lisci. – Il Femminello ovale di Sorrento. coltivato nella zona compresa tra questa città e Massalubrense (Napoli), produce frutti non dissimili a quelli del Femminello comune. – Lo Sfusato Amalfitano, antica cultivar della costiera amalfitana (Salerno), è caratterizzato dal frutto di forma ellittico-allungata, di grosse dimensioni e con un umbone grande e appuntito. Queste due ultime cultivar godono di un notevole apprezzamento commerciale, alimentato dal turismo che frequenta questo pregevole ambiente e dal marchio IGP.

Femminello Incappucciato

Lunario

Varietà straniere Tra le cultivar non italiane primeggiano quelle dei maggiori produttori, quali Spagna, Stati Uniti, Argentina. In Spagna, nella regione più tradizionalmente ed estesamente limonicola, quella di Murcia, sono state selezionate le due cultivar che si sono ampiamente imposte e su cui oggi si concentra l’intera limonicoltura spagnola, la Fino e la Verna. – La cultivar Fino, originata probabilmente da un semenzale, è la più importante e per la sua modesta rifiorenza naturale produce abbondanti frutti che maturano commercialmente da ottobre a febbraio. Sono di forma ellittica, con un piccolo umbone, polpa succosa e acida e un certo numero di semi, con l’eccezione di qualche clone (Fino 95) che è apireno. Se sottoposto a forzatura, produce verdelli denominati dagli spagnoli “rodrejos”.

Fino 95

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limone – La cultivar Verna sviluppa piante di buon vigore e con poche spine. I frutti sono di elevata pezzatura con una forma allungata per la presenza, oltreché di un umbone pronunciato, anche di un “collo” più o meno evidente. In virtù della sua rifiorenza, produce una fruttificazione principale che cresce lentamente e giunge a maturazione in un’epoca relativamente tardiva (marzo-luglio) e successivamente (agosto-ottobre) il prodotto della seconda fioritura. I frutti, che presentano una buccia alquanto spessa, contengono pochi semi e una minore percentuale di succo rispetto al Fino. Negli Stati Uniti, e particolarmente in California, la coltura del limone è concentrata su due cultivar, l’Eureka e la Lisbon. – Eureka è il nome che è stato dato in California a metà del XIX secolo a un semenzale derivato da semi originari dalla Sicilia. È divenuta rapidamente la cultivar più diffusa non solo in questo stato, ma anche in altri importanti Paesi limonicoli come l’Australia e il Sud Africa e ha contribuito significativamente alla produzione di limoni in Argentina e in molti altri Paesi. Le piante sono relativamente poco vigorose e con un portamento espanso, i frutti sono di dimensioni medie, con pochi semi, buccia medio-sottile, succosi e con acidità elevata. Il loro accrescimento è lento e in California vengono raccolti da febbraio a giugno. – Lisbon deve il suo nome al fatto che i semi da cui derivò, all’inizio del XIX secolo in Australia, erano stati importati dal Portogallo. Introdotta intorno al 1870 in California, è stata apprezzata soprattutto per la sua maggiore tolleranza al freddo rispetto all’Eureka, che ne ha indotto la diffusione nella Central Valley della California, in Arizona e in molti altri Paesi come l’Australia, l’Uruguay e l’Argentina. Le piante sono vigorose, con un denso fogliame, alquanto spinescenti e altamente produttive. I frutti, dotati di un umbone pronunciato e di pochi semi, sono succosi e maturano precocemente, per cui in California si raccolgono da ottobre a febbraio. Nell’America meridionale la cultivar che ha preso il sopravvento è la Genoa, derivata da semi di frutti di origine italiana (probabilmente spediti – e da ciò il nome – dal porto di Genova) utilizzati in California nella seconda metà del XIX secolo. Le piante sono a portamento contenuto, senza spine, con un denso fogliame e abbastanza tolleranti al freddo. I frutti sono globosi con un piccolo umbone, con pochi semi e molto succo ricco di acidità. È molto diffusa in Cile e in Argentina, dove viene largamente impiegata anche per la trasformazione industriale. Molte altre varietà di limoni sono in coltura negli altri Paesi agrumicoli. Si citano, in particolare, quelle diffuse in Grecia (Maglini, Karistini, Adamopoulos) e in Turchia (Kutdiken, Lamas).

Verna

Eureka

Lisbon

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gli agrumi

ricerca Mandarino e simili Alberto Continella, Giuseppe Russo

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ricerca Mandarino e simili Origine e tassonomia Al pari degli altri agrumi, l’origine dei mandarini non è esattamente definita, sebbene l’area nativa si possa collocare tra l’India nordorientale, la Cina meridionale e la penisola indocinese. I mandarini sono stati coltivati in Cina per diverse migliaia di anni e la prima citazione in letteratura risale al XXI secolo a.C. ne Il tributo di Yu, in cui si narra che i frutti di mandarino, pummelo e arancio amaro venivano portati in dono all’imperatore. La loro introduzione in Occidente avviene in epoca moderna, nel 1805, quando Sir Abraham Hume li porta in Gran Bretagna; da qui nel 1810 arrivano a Malta e in Sicilia. Dal punto di vista tassonomico il gruppo dei mandarini è il più complesso tra gli agrumi. La classificazione formulata da Swingle è estremamente restrittiva, poiché individua una singola specie, Citrus reticulata, in cui include le diverse tipologie di mandarino, ad eccezione del C. tachibana, originario del Giappone, e del C. indica, un mandarino proveniente dall’India. Diversamente Tanaka nella sua classificazione, più rigorosa e rispettosa dei caratteri botanici e morfologici, individua ben 36 specie. In questo testo si fa riferimento alla classificazione effettuata da Hodgson, che distingue i mandarini in: – Citrus deliciosa Tenore mandarino Mediterraneo – Citrus nobilis Loureiro mandarino King – Citrus reticulata Blanco mandarino Comune satsuma – Citrus unshiu Marcowicz – mandarini a frutto piccolo

Il mandarino in Europa

• Un’ulteriore attestazione della recente

comparsa in Europa del mandarino rispetto ad altri agrumi quali arancio, limone, cedro, pummelo, la cui presenza era già testimoniata in numerosi scritti e disegni, è data dalla raffigurazione nell’Histoire naturelle des orangers (1818-1822) di un solo mandarino su un totale di 171 varietà di agrumi descritti, la maggior parte rappresentati in 109 tavole

Tavola che raffigura l’“Arancio Mandarino”, tratta dall’Histoire naturelle des orangers di Risso e Poiteau Impianto di mandarino Nova nella Piana di Catania con vista dell’Etna

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mandarino e simili A questi mandarini vanno aggiunti i numerosi ibridi interspecifici sia ottenuti in natura sia costituiti per mano dell’uomo, quali i tangor (ibridi di mandarino x arancio) e i tangeli (ibridi di mandarino x pummelo o pompelmo). Il termine “mandarino-simile” include diverse entità genetiche che presentano caratteri comuni quali una buccia facilmente pelabile, la scarsa serbevolezza dei frutti, la buona adattabilità alle diverse condizioni climatiche, ma anche rilevanti diversità nella morfologia della foglia, nel portamento della pianta, nella dimensione dei frutti, nell’epoca di maturazione. Tale raggruppamento è il più eterogeneo tra gli agrumi: esistono genotipi sia monoembrionici che poliembrionici, sia autofertili che autoincompatibili. Un termine oggi utilizzato nei Paesi anglosassoni per indicare i mandarini a buccia color rosso-arancio è “tangerino”, nome originariamente attribuito in Inghilterra ai mandarini importati da Tangeri in Marocco. Spesso i mandarini e mandarinosimili vengono anche definiti “agrumi a frutto piccolo”. La produzione mondiale di mandarini nel ventennio 1990-2010 è passata da 13 a 21,5 milioni di tonnellate registrando una crescita che non ha eguali negli altri agrumi. Due terzi della produzione si collocano in Asia, dove la sola Cina ne produce oltre 8,5 milioni di tonnellate. Nel bacino del Mediterraneo la produzione di mandarini è concentrata in Spagna, con 2 milioni di tonnellate, seguita dall’Italia con circa 800.000 tonnellate. Di seguito vengono descritte le cultivar dei mandarini e mandarino-simili di maggiore rilevanza, passata e/o presente, nell’ambito dell’agrumicoltura italiana.

Avana

Mandarino Mediterraneo (C. deliciosa Ten.) Dalla Cina giunse nel Mediterraneo nei primi anni del XIX secolo e si trattava probabilmente del mandarino di Canton (Szekan o mandarino di settembre). Le numerose denominazioni con cui questo mandarino è conosciuto nel mondo sono fuorvianti in quanto fanno pensare all’esistenza di numerose varietà. In Italia viene considerato “il mandarino” per antonomasia. Avana. La pianta è di medie dimensioni e habitus globoso con foglie piccole e tipicamente lanceolate (negli Stati Uniti tale specie viene indicata con il nome di Willowleaf). Piuttosto resistente al freddo, è fortemente soggetta ad alternanza di produzione. Il frutto matura tra dicembre e gennaio e si presenta schiacciato ai poli e con un leggero collare alla base percorso da solchi radiali. Caratteristica è la produzione a grappolo. La buccia, facile al distacco, ha un tipico colore giallo aranciato ed è ricca di ghiandole oleifere contenenti un’essenza caratteristica e distintiva. La polpa, tenera e succosa, è di colore arancio chiaro e dal gusto dolce e aromatico, e presenta un elevato numero di semi. Nonostante il successivo ottenimento per mutazione gemmaria dell’Avana apireno, caratterizzata dalla presenza di pochi semi, si è osservato il progressivo declino della coltivazione di questa varietà.

Caratteristica fruttificazione a grappolo dell’Avana

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ricerca Tardivo di Ciaculli. È una mutazione dell’Avana ottenuta nell’omonima borgata di campagna della Conca d’Oro nei pressi di Palermo. Ha avuto un discreto successo a motivo dell’epoca di raccolta più tardiva, tra febbraio e marzo, in cui non si aveva presenza di altri mandarini, e presenta un sapore più dolce dell’Avana. Oggi è poco presente sui mercati, viste la preferenza del consumatore per i frutti apireni e l’introduzione di varietà di mandarino a maturazione tardiva.

La Conca d’Oro

• La pianura circostante la città di

Palermo viene denominata Conca d’Oro in considerazione della coltivazione di aranci, mandarini e limoni sin dal XVI secolo. Nelle aree periurbane, infatti, gli agrumi erano utilizzati a scopo decorativo e l’agrumeto veniva definito “giardino”

Mandarino King (C. nobilis Lour.) Il piccolo gruppo dei King, originario dell’Indocina, deriva forse da un incrocio naturale tra arancio e mandarino. Per quanto concerne l’aspetto commerciale, assumono una relativa importanza solo le varietà King of Siam, in Cambogia e Vietnam, e Kunembo, in Giappone. Le due cultivar differiscono per pezzatura ed epicarpo, essendo la seconda più piccola e con una buccia leggermente meno rugosa. La pianta di King of Siam è mediamente vigorosa, con foglie verde scuro e ampie. I frutti, grandi come arance, mostrano una buccia particolarmente grossolana di color arancio, spessa e ricca di oli essenziali. La polpa, moderatamente acida e dolce, presenta un gusto poco contrastato e circa 10-15 semi. In virtù della tardiva maturazione, è stata utilizzata come parentale per il conseguimento di varietà di buona diffusione nel mondo, come Kinnow e Wilking. Mandarino Comune (Citrus reticulata Blanco) Anch’essi sono originari dei Paesi orientali dove sono diffusi in modo prevalente. La cultivar più importante è il Ponkan, denominata Nagpur Suntara in India e Batangas nelle Filippine. Oggi

King Tardivo di Ciaculli

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mandarino e simili è probabilmente il mandarino più estensivamente coltivato nel mondo, essendo molto diffuso in Cina, India e Brasile. La pianta, vigorosa, presenta uno sviluppo assurgente, buona produttività e una spiccata alternanza. Il frutto è di grande pezzatura, oblato, con una buccia mediamente spessa di color arancio che tende a staccarsi anche a maturazione incipiente. La polpa è succosa e gustosa con pochi semi. È uno dei mandarini che trova nel clima tropicale l’ambiente più favorevole: qui, infatti, la qualità e la dimensione dei frutti raggiungono i massimi livelli. Satsuma (C. unshiu Marcow.) L’origine del satsuma, al pari di altri mandarini, non è ben definita. Viene spesso riportato che sia di origine giapponese, ma pare derivi invece, nel 1400, dal mandarino Tsao Chieh proveniente dalla città cinese di Wenzhou, o più verosimilmente da una mutazione del mandarino Bendiguanchu, altro mandarino locale di Wenzhou, ben 1000 anni prima. Il termine unshiu è un adattamento giapponese di Wenzhou quale conseguenza della lettura in nipponico dei caratteri cinesi. La parola satsuma, invece, viene attribuita alla moglie di un diplomatico americano in Giappone, il generale Van Valkenberg, che la usò per indicare delle piante che nel 1878 inviò negli Stati Uniti; essa proviene dal precedente nome della attuale Prefettura di Kagoshima, sulla punta meridionale dell’isola di Kyushu, dove pare abbia avuto origine. In Giappone, dove rappresenta circa il 90% della coltura degli agrumi, è conosciuto come mikan, termine usato per indicare gli agrumi in generale o, formalmente, unshiu mikan. Tra gli agrumi commestibili è secondo solo al kumquat per la resistenza al freddo, specialmente se innestato su Poncirus. Si conoscono all’incirca un centinaio di varietà ottenute, soprattutto, da mutazioni dovute alla scarsa stabilità genetica. Sono raggruppati, a seconda dell’epoca di maturazione, in molto precoci (Goko Wase), precoci (Wase), a maturazione media (Nakate) e tardiva (Bansei). Si raccolgono infatti dal mese di agosto a metà dicembre. In Europa tradizionalmente il satsuma inizia la campagna agrumaria tra fine settembre e inizio ottobre quando i frutti, pur essendo idonei per il consumo, presentano ancora un colore verde. Considerato che non si prestano bene alla pratica della deverdizzazione, il consumatore li accetta anche con pigmentazione insufficiente. Le varietà più precoci hanno avuto una buona diffusione in Spagna, dove la superficie ad essi dedicata ha raggiunto 16.000 ettari nel 1986 e sono state selezionate alcune mutazioni. Le cultivar più importanti del gruppo Wase sono la Okitsu, la Miho e la Miyagawa, e tra le tardive la Sugiyama.

Ponkan

Satsuma coltivato in Cina su telo bianco per ridurre le perdite di umidità del terreno per evaporazione

Miyagawa. La pianta presenta un portamento espanso e pendulo dei rami e le foglie sono alquanto estese. Il frutto oblato, di medie dimensioni, ha una buccia color arancio che si distacca facilmente dalla polpa. Presenta 10-12 segmenti con pellicola spessa e

Pigmentazione verde dei frutti di satsuma al momento della raccolta

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ricerca resistente; i frutti sono privi di semi. La cultivar Miyagawa, oltre a essere quella maggiormente coltivata in Giappone, si è diffusa in Italia negli anni ’80, ma oggi la sua coltivazione è in diminuzione. A seguito di un programma di miglioramento genetico mediante incrocio tra satsuma e altri mandarini, presso l’Università di Catania sono stati ottenuti sei ibridi denominati Primosole, Etna, Simeto, Bellezza, Desiderio e Sirio; i primi tre presentano già una certa diffusione. Primosole. Il Primosole è un ibrido di satsuma Miho x mandarino Carvalhais rilasciato nel 1993. La pianta è di dimensioni medie e le foglie presentano una tipica conformazione a coppa pur in assenza di stress idrico. I frutti, apireni, maturano a ottobre, sono facili da sbucciare, di buona pezzatura e di sapore gradevole. Questa cultivar ha avuto un buon riscontro a livello commerciale diffondendosi in Italia e all’estero.

Primosole

Etna. Ibrido di satsuma Okitsu x clementine Comune. La pianta, di media vigoria e ad habitus piuttosto compatto, ha foglie ellittiche di color verde scuro. I frutti sono oblati, di pezzatura medio-elevata, apireni; l’epicarpo, mediamente aderente, è di color arancio intenso; la polpa gustosa ha sapore simile a quello del clementine Comune. Si raccoglie in novembre. Simeto. Ottenuto dall’incrocio di satsuma Miho e mandarino Avana apireno, presenta un habitus leggermente più assurgente dell’Avana, cui assomiglia per forma delle foglie e dei frutti, oltre che per sapore e pigmentazione. I frutti sono apireni, di pezzatura superiore (160-180 g) e anticipano la maturazione di una decina di giorni, raccogliendosi tra novembre e dicembre. La produttività è soddisfacente, sebbene soffra di alternanza.

Etna

Tangor Questo gruppo di agrumi comprende gli ibridi tra i mandarini e l’arancio dolce o amaro. Il nome tangor deriva da tang di tangerine e or di orange. Murcott. Questo tangor è stato costituito nei primi anni del XX secolo nell’ambito di un programma di miglioramento genetico in Florida e i genitori sono sconosciuti. Diffusosi nella seconda metà del secolo scorso, è noto anche con i nomi Honey (miele), per la dolcezza della polpa, o Smith, dal cognome di colui che, successivamente al signor Murcott, ha diffuso questo nuovo ibrido. La pianta è moderatamente vigorosa, le foglie piccole e lanceolate. I frutti si trovano sui rami perlopiù in posizione terminale per cui sono soggetti a danni da vento e da sole. Presenta una buccia sottile, lucida, di color arancio; la polpa tenera e succosa ha un gusto prelibato, ma purtroppo contiene numerosi semi. L’epoca di

Simeto

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mandarino e simili maturazione è compresa tra febbraio e marzo. La pianta è soggetta a una spiccata alternanza che, oltre a incidere sulla pezzatura dei frutti, in casi estremi può portare al collasso la pianta stessa. Nadorcott®. La storia di questo mandarino è lunga e tormentata. Fu selezionato nel 1964 nella Stazione sperimentale Afourer dell’INRA in Marocco da una popolazione di semenzali di Murcott. Di recente è stato individuato il genitore maschile: la varietà Mandalina. I frutti di questa selezione si distinguevano da quelli di Murcott per l’epicarpo più facilmente sbucciabile, di un colore tendente al rosso, e per essere apireni se coltivati in aree isolate. Negli anni ’80 fu prima nominato INRA21W e successivamente Afourer, dal nome della Stazione, con cui ancora oggi è in molti Paesi maggiormente conosciuto. In seguito si diffuse negli Stati Uniti, dove è conosciuto con il nome W. Murcott o Delite. Nel 1995 E.B. Nadori brevettò la varietà con il nome Nadorcott. I frutti sono di buona pezzatura e di buon sapore, maturano tra gennaio e fine febbraio e hanno di recente avuto un buon successo nel mercato europeo. Ortanique. L’origine è sconosciuta e sembrerebbe un ibrido naturale tra il tangerino e l’arancio dolce; è stato individuato in Giamaica nel 1920 da C.P. Jackson. La pianta è moderatamente vigorosa; il portamento è rotondeggiante ed espanso con chioma densa e foglie di misura intermedia tra il mandarino e l’arancio. Il frutto è grosso, con buccia leggermente rugosa che si stacca con difficoltà dal-

Murcott

Nadorcott®

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ricerca la polpa, senza semi se viene coltivato in assenza di impollinatori. L’epoca di maturazione è tardiva, da febbraio ad aprile. In Italia, dopo una prima diffusione in coltura dovuta soprattutto al pregio della tardività, negli anni ’90 questo agrume è stato progressivamente sostituito perché non più accettato dal mercato, considerato che i frutti presentano un epicarpo coriaceo difficile a sbucciarsi. Clementine All’interno dei tangor il gruppo numericamente e commercialmente più importante è costituito dal clementine, tanto che nella classificazione tassonomica alcuni autori lo considerano una specie a sé stante (Citrus clementina Hort. ex Tan.). Il clementine Comune o mandarancio è stato isolato intorno al 1900 da padre Clément Rodier da una semina di mandarini a Misserghin, in Algeria, ed è un ibrido naturale. Secondo Trabut, che lo ha descritto per primo, è derivato probabilmente dall’incrocio del mandarino Avana e di una selezione di arancio amaro chiamato Granito. Studi mediante marcatori molecolari svolti presso l’Università di Catania hanno accertato che i genitori sono stati il mandarino Avana e l’arancio dolce. Nell’ambito della produzione di mandarini e mandarino-simili dei si del Mediterraneo, stimata intorno a 4.325.000 tonnellate Pae­ (24,7% del totale), il clementine occupa una posizione preminente. In Italia la coltura del clementine Comune si è estremamente specializzata e diffusa in Calabria, Basilicata e Puglia, dove le condizio-

Ortanique

Principali mutazioni di clementine selezionate nei Paesi del bacino del Mediterraneo (segue) Varietà

Paese di Anno di origine diffusione

Mutazione di

Osservazioni

Fedele

Italia

1966

Comune

Pianta di vigore e produzione media, frutto di colore arancio intenso e precoce

Tardivo

Italia

1969

Comune

Pianta di portamento assurgente con chioma densa, frutto schiacciato ai poli, di colore arancio e a maturazione tardiva

Monreal verde

Italia

1974

Monreal per irraggiamento

Pianta di aspetto compatto, molto produttiva con qualche seme, epoca di maturazione media (metà novembre)

Spinoso

Italia

1988

Comune

Pianta di vigore medio, produttiva, epoca di maturazione precoce (metà ottobre)

Rubino

Italia

1991

Comune

Pianta di aspetto molto compatto, produttiva, frutto piccolo, epoca di maturazione tardiva (gennaio-febbraio)

Oroval

Spagna

1950

Comune

Pianta assurgente con foglie più grandi del clementine Comune, frutto con buccia spessa e precoce

Nules

Spagna

1953

Comune

Pianta espansa, con foglie più grandi del clementine Comune, frutto con buccia spessa e maturazione medio-tardiva

Hernandina

Spagna

1966

Comune

Pianta compatta, con foglie più grandi del clementine Comune, frutto a maturazione tardiva (fine gennaio-febbraio)

Esbal

Spagna

1966

Comune

Pianta molto produttiva e di maturazione media

Nules

Pianta caratterizzata da portamento globoso, vigore medio-elevato, produttività buona, epoca di maturazione precoce

Arrufatina

Spagna

1968

368


mandarino e simili ni pedoclimatiche favoriscono l’ottenimento di soddisfacenti produzioni dotate di buone caratteristiche qualitative. Inoltre, in considerazione della loro autoincompatibilità, le colture specializzate, in assenza di impollinatori, consentono la produzione di frutti apireni, ottenendo risultati lusinghieri nei mercati nazionali ed esteri. Recentemente l’aumento indiscriminato delle superfici investite a questa coltura, sia nelle regioni meridionali italiane, passate da 12.778 ettari nel 1985 a 29.507 nel 2011, sia in Spagna, maggiore Paese esportatore nel bacino del Mediterraneo, ha enormemente inflazionato l’offerta di questo agrume. La diffusione della coltura ha contribuito in un secolo all’isolamento, per mutazioni spontanee, di un notevole numero di selezioni che si sono diversificate dall’originario genotipo per varie caratteristiche quali l’epoca di maturazione, la pezzatura, il colore della buccia, l’habitus vegetativo e altre ancora. La prima di queste mutazioni, riscontrata in Algeria, a Perregaux, nel 1940 e chiamata Monreal, dal nome dell’agricoltore che l’aveva individuata, risultava più produttiva e con frutti più grossi rispetto al clementine Comune ma, a differenza di questo, presentava numerosi semi poiché autofertile. La Monreal ha avuto una discreta diffusione, ma dagli anni ’90 i consumatori europei iniziarono a non gradire i semi decretandone la sostituzione con selezioni apirene più precoci (Caffin, Spinoso, Corsica 2, SRA 89) e più tardive (Hernandina e Tardivo). Ciò ha permesso di estendere il calendario di raccolta da ottobre a febbraio rendendo il mercato meno inflazionato.

Clementine e mandarini: diffusione

• Il clementine è maggiormente diffuso

in Calabria, Basilicata e Puglia, mentre il mandarino si coltiva soprattutto in Sicilia

00 20.0 00 16.0 0 2.00 ha 1 8000 4000

0

a a a pani Puglia asilicat Calabria Sicilia ardegn S B

Cam

Superficie coltivata a mandarini (rosa) e clementine (giallo)

(continua) Principali mutazioni di clementine selezionate nei Paesi del bacino del Mediterraneo Clemenpons

Spagna

1968

Nules

Produttività elevata a maturazione precoce, il frutto tende a spigare se non viene raccolto per tempo

Marisol

Spagna

1970

Oroval

Migliorativa rispetto alla Oroval come qualità del frutto

Oronules

Spagna

1970

Comune

Pianta vigorosa, epoca di maturazione precoce

Orogrande

Spagna

1978

Nules

Pianta espansa con foglie più grandi del clementine Comune, epoca di maturazione precoce

Loretina

Spagna

1992

Marisol

Migliorativa rispetto alla Marisol come qualità del frutto

Clemenrubì

Spagna

1996

Oronules

Pianta molto compatta a crescita lenta, la più precoce in assoluto con produzione medio-scarsa

SRA 92

Francia

1960

Comune

Selezione del clementine Comune che non si è diffusa in Italia

Corsica 2

Francia

1962

Comune

Pianta compatta molto produttiva, maturazione precoce

SRA 63

Francia

1963

Comune

Selezione del clementine Comune molto diffusa in Italia

SRA 85

Francia

1965

Comune

Selezione del clementine Comune che non si è diffusa in Italia

SRA 88

Francia

1965

Comune

Selezione del clementine Comune che non si è diffusa in Italia

SRA 89

Francia

1965

Comune

Pianta compatta, con internodi raccorciati, produttiva e precoce, discretamente diffusa in Italia

Caffin

Marocco

1968

sconosciuta

Pianta con foglie di colore verde intenso, compatta, con frutti di colore arancio intenso e precoci, produzione medio-scarsa

Nour

Marocco

1980

sconosciuta

Pianta compatta, con foglie più grandi del clementine Comune, epoca di maturazione tardiva

Monreal

Algeria

1940

Comune

Pianta di aspetto compatto, produttiva con molti semi, epoca di maturazione media (metà novembre)

369


ricerca Selezioni di clementine più diffuse in Italia Clemenrubì®. Si tratta di una mutazione spontanea del clementine Oronules individuata in Spagna, a Loriguilla (Valencia), nel 1996, e brevettata nel 2005. L’albero è poco vigoroso e di lento accrescimento, la chioma compatta; il frutto, di media pezzatura, è tra i più precoci, sebbene la buccia permanga di colore verdastro nella zona apicale. Facile da sbucciare, conviene raccoglierlo appena maturo per evitare fenomeni di spigatura e granulazione. I frutti sono soggetti a danni da spaccatura e da colpo di sole. Caffin. È stato isolato nel 1968 in Marocco, a Azemmour, da Caffin. La pianta ha un vigore medio-basso e una chioma espansa mediamente assurgente; le foglie sono di colore verde più intenso rispetto agli altri clementine. Il frutto ha forma oblata e buccia di colore arancio intenso; l’epoca di maturazione è precocissima (primi di ottobre). Clemenrubì®

Spinoso. Il clementine Spinoso è stato isolato nel 1988 in Italia a Metaponto (Matera) presso l’azienda Pantanello da Angelo Starrantino. La pianta ha un vigore medio, chioma espansa mediamente assurgente; le spine sono presenti nei rami più vigorosi e si attenuano nei rametti apicali; fruttifica regolarmente. Il frutto ha forma più schiacciata rispetto al clementine Comune. L’epoca di maturazione è precoce (metà ottobre). SRA 89. È stato introdotto in Corsica da Folleli (SRA) nel 1965. La pianta ha vigore medio, chioma compatta e internodi ravvicinati; la fruttificazione inizia precocemente. La forma del frutto è oblata,

Caffin

Spinoso

SRA 89

370


mandarino e simili la buccia è di colore arancio. L’epoca di maturazione è precoce (fine ottobre-primi di novembre). Corsica 2. È stato isolato nel 1962 in Marocco a Saida Rabat. La pianta ha vigore medio, chioma folta e globosa, spine assenti, fruttificazione abbondante e costante. La forma del frutto è oblata, simile al clementine Comune e la buccia è di colore arancio. L’epoca di maturazione è precoce (fine ottobre-primi di novembre). SRA 63. Il clementine SRA 63, proveniente da Boufarik in Algeria, è stato introdotto in Corsica nel 1963 dall’SRA. La pianta ha vigore medio ed è una selezione del clementine Comune molto diffusa nell’agrumicoltura italiana. La forma del frutto è oblata, l’epoca di maturazione è media (fine novembre-dicembre). Hernandina. È stato isolato nel 1966 in Spagna a Picassent (Valencia). La pianta ha vigore medio, chioma folta; le foglie sono di dimensioni maggiori rispetto a quelle del clementine Comune; la corteccia del tronco e delle branche è più scura. Entra in produzione precocemente e presenta una certa alternanza. La forma del frutto è oblata; la buccia è di colore arancio; in qualche frutto la parte apicale rimane verde pallido. L’epoca di maturazione è tardiva (gennaio-metà febbraio).

Corsica 2

Clementine Tardivo. Il clementine Tardivo deriva da mutazione spontanea di clementine Comune ed è stato individuato nel 1969 a Giarre (Catania). La pianta presenta media vigoria ed è legger-

SRA 63

Hernandina SRA 63

371


ricerca mente assurgente. I frutti sono di buona pezzatura e di forma sub-sferica, la buccia a grana fine è di colore arancio intenso. Peculiarità del clementine Tardivo è che il frutto matura a dicembregennaio sebbene la buccia rimanga di colore verde e resista bene sulla pianta fino a febbraio-marzo. Tangeli. Sono ibridi tra mandarini e pummelo o pompelmo. Il nome tangelo deriva da tang di tangerine ed elo di pummelo. Minneola. Il Minneola è stato ottenuto dall’incrocio del pompelmo Duncan x il tangerino Dancy presso la U.S. Department of Agriculture della Florida nel 1931. La pianta è vigorosa, la chioma è poco densa, le foglie sono grandi e simili a quelle dell’arancio. Il frutto, che ha dimensione intermedia tra un’arancia e un mandarino, presenta il lobo pedicellare sviluppato, un colore arancio intenso e si sbuccia con difficoltà. A maturazione avvenuta ha bassa serbevolezza sia sulla pianta sia in post-raccolta, pertanto la sua diffusione è limitata.

Minneola

Mapo. È stato ottenuto in Italia nel 1950 presso il CRA-ACM di Acireale, derivato dall’incrocio tra il pompelmo Duncan e il mandarino Avana. Essendo i suoi frutti di elevata pezzatura, a maturazione precoce (ottobre) e facilmente sbucciabili, seppur con semi, ha riscontrato un certo interesse e diffusione negli anni ’80. La presenza nello stesso periodo di frutti facili da sbucciare ma apireni (satsuma) ha fatto sì che il mapo venisse sempre meno accettato dal consumatore. Ibridi triploidi Presso il CRA-ACM di Acireale la costituzione di ibridi triploidi di agrumi è iniziata nel 1978, utilizzando l’incrocio di genitori femminili 2X monoembrionici e genitori maschili 4X. Il vantaggio di questa strategia è che, utilizzando un genitore femminile monoembrionico diploide, si ottengono esclusivamente ibridi senza l’interferenza degli embrioni nucellari. Il clementine e il mandarino Fortune sono stati usati come genitori femminili, mentre selezioni tetraploidi di arancio Biondo, di Tarocco, di mandarino Avana sono state usate come genitori maschili. I triploidi producono gameti sterili e frutti per via partenocarpica. La costituzione di ibridi innovativi per la pezzatura del frutto, la pigmentazione antocianica, la facile sbucciatura, l’epoca di maturazione, la produttività e la rapida entrata in produzione ha confermato l’interesse per la strategia utilizzata.

Mapo

Ibridi triploidi

• La caratteristica principale degli ibridi triploidi è di produrre frutti apireni, peculiarità essenziale per il mercato dei mandarino-simili; infatti, lo sbilanciamento cromosomico 3X (27 cromosomi) non consente la produzione di gameti fertili

Tacle®. Il Tacle è ibrido di clementine Monreal 2X x arancio Tarocco 4X brevettato nel 2001. La pianta ha un elevato sviluppo, habitus vegetativo assurgente ed espanso e spine di medie dimensioni; le foglie hanno forma ellittica e apice appuntito. Il frutto ha una forma oblata e un peso medio di circa 150 g; la buccia ha un colore arancio intenso con pigmentazione antocianica, una 372


mandarino e simili consistenza soffice ed è mediamente aderente alla polpa, che è di colore arancio intenso con screziature antocianiche. Il sapore è intermedio tra quello del clementine e del Tarocco. La raccolta inizia a fine dicembre e si prolunga a tutto gennaio, tuttavia la persistenza dei frutti sulla pianta è bassa. Alkantara®. L’Alkantara è stato ottenuto dall’incrocio del clementine Oroval 2X x arancio Tarocco® 4X e brevettato nel 2004. La pianta ha uno sviluppo contenuto e un portamento espanso. Le spine sono di piccole dimensioni. Le foglie hanno forma ellittica, apice arrotondato. Il frutto ha una forma oblata e un peso medio di circa 200 g; la buccia ha un colore arancio intenso, una consistenza soffice ed è poco aderente alla polpa. Quest’ultima presenta a maturità avanzata una buona pigmentazione antocianica e un sapore particolare e distintivo. La raccolta inizia a fine novembre e si protrae a tutto gennaio; la persistenza dei frutti sulla pianta è buona.

Tacle®

Mandared®..Il Mandared è un ibrido di clementine di Nules 2X x arancio Tarocco 4X brevettato nel 2004. La pianta ha un elevato sviluppo e un habitus vegetativo assurgente ed espanso. Le spine sono di medie dimensioni e le foglie hanno forma ellittica. Il frutto ha una forma oblata e un peso medio di circa 170 g; la buccia è sottile, di grana fine e di colore arancio intenso, con media aderenza alla polpa. Quest’ultima presenta a maturità una notevole pigmentazione antocianica. L’epoca di raccolta inizia a metà febbraio e si prolunga a tutto marzo; la persistenza dei frutti sulla pianta è media. Mandalate®. Il Mandalate è stato ottenuto dall’incrocio di Fortune 2X x mandarino Avana 4X e brevettato nel 2004. La pianta ha Alkantara®

Mandared® Mandalate

®

373


ricerca uno sviluppo medio e un habitus vegetativo espanso. Le spine sono di piccole dimensioni e le foglie hanno forma ellittica. Il frutto ha una forma oblata e un peso medio di circa 100 g; la buccia è sottile, di grana fine e di colore arancio, con scarsa aderenza alla polpa. Il sapore è simile a quello del mandarino Avana. Matura dopo il mandarino Tardivo di Ciaculli, ma, a differenza di quest’ultimo, rimane succoso. L’epoca di raccolta inizia a fine febbraio e si prolunga a tutto aprile; i frutti resistono bene sulla pianta. Winola®. Triploide spontaneo ottenuto dall’incrocio di mandarino Wilking x Minneola, fu costituito nel 1979 da Vardi e SpiegelRoy al Volcani Center in Israele e brevettato nel 1993. La pianta è mediamente vigorosa con chioma ricadente, la produzione si trova all’interno. I frutti, di media pezzatura e color arancione intenso, si caratterizzano per un’elevata consistenza, un epicarpo coriaceo non facile da sbucciare e un sapore caratteristico, con valori di acidità mediamente elevati. L’epoca di maturazione si colloca nel mese di marzo.

Winola® Nova

374


mandarino e simili Altri ibridi Nova. Il Nova è stato ottenuto nel 1942 dall’incrocio di clementine Comune x tangelo Orlando da Gardner e Bellow presso lo U.S. Department of Agriculture di Orlando (Florida) ed è stato descritto e rilasciato nel 1964. La pianta è poco vigorosa e la chioma compatta, le foglie sono simili a quelle del clementine, ma leggermente più grandi. Il frutto matura a fine dicembre e si mantiene in buone condizioni fino a tutto gennaio. Negli ultimi decenni si è molto diffuso nel bacino del Mediterraneo, specialmente in Spagna, dove è stato commercializzato con il nome di Clemenvilla. In presenza di impollinatori, come il clementine e il Primosole, produce frutti con semi. Fortune. Il Fortune è stato ottenuto nel 1964 dall’incrocio di clementine Comune x Dancy da J.R. Furr presso lo U.S. Department of Agriculture di Indio (California). La pianta è vigorosa; la densa chioma fruttifica all’interno e i frutti sono così protetti dal sole. La maturazione avviene in marzo-aprile. Negli anni passati si è diffuso soprattutto in Spagna dove costituisce la cultivar tardiva più importante; anche in Italia ha avuto una certa diffusione, che in questi ultimi anni si è ridotta per la sensibilità del frutto al fungo Alternaria alternata che lo rende incommerciabile.

Fortune

Recenti innovazioni varietali Alcune varietà di recente costituzione appaiono promettenti nei Paesi di origine e potrebbero nel prossimo futuro riscuotere interesse anche in Italia. Tra queste si riportano alcune cultivar ritenute più promettenti. La Tango®, ottenuta in California mediante mutazione indotta per irraggiamento del W. Murcott e brevettata nel 2011, si distingue per l’apirenia del frutto; l’Orri®, mutazione indotta per irraggiamento della cultivar Orah e ottenuta in Israe­ le, in cui si è notevolmente diffusa negli ultimi dieci anni e che matura a febbraio-marzo; la Mor, mutazione indotta del Murcott ottenuta in Israele, i cui frutti sono simili a quelli di Murcott per il sapore ma quasi del tutto apireni. Tre mandarini medio-tardivi di elevata pezzatura sono stati brevettati in California, Tahoe Gold®, Yosemite Gold®, Shasta Gold®; presso l’IVIA in Spagna sono stati costituiti il Safor® e il Garbì®, ibridi triploidi rispettivamente di Fortune x Kara e di Fortune x Murcott, che producono frutti apireni a maturazione tardiva.

Pianta brevettata

• Per “pianta brevettata” s’intende

un genotipo di nuova costituzione sottoposto a privativa come forma di proprietà industriale da parte del costitutore. Il simbolo utilizzato per tali varietà è ® e comporta il pagamento dei relativi diritti da parte dell’agricoltore

Mandarini a frutto piccolo Delle 36 specie di mandarino classificate da Tanaka, alcune non sono state incluse in quelle sopra descritte. Vengono di seguito riportate le specie che hanno oggi importanza sotto l’aspetto commerciale per il consumo fresco nei mercati asiatici o per il loro utilizzo come portinnesto o a scopo ornamentale e che, pertanto, verranno trattati estensivamente negli specifici capitoli. 375


ricerca Calamondino (C. madurensis Lour.; C. mitis Blanco) Probabile ibrido di kumquat e mandarino, il frutto non è edibile per la buccia dal sapore amaro; si differenzia dal kumquat anche per la morfologia delle parti interne del fiore (ovario). La pianta è, nel gruppo degli agrumi ornamentali, tra le più utilizzate per la rifiorenza e l’eleganza delle foglie. Mandarino Cleopatra (C. reshni Hort. ex Tan.) Di origine indiana, si è diffuso come portinnesto soprattutto per la tolleranza ai sali. La pianta, attraente per la chioma rotondeggiante e le foglie piccole di color verde scuro, presenta frutti di colore rosso-arancio. Citrus sunki Hort. ex Tan. Proveniente dalla Cina, la pianta è di sviluppo medio. I frutti, non edibili per il succo acido, sono piccoli e depressi su entrambi i poli e presentano una buccia molto aderente. In Cina viene oggi utilizzato come portinnesto. È stato di recente impiegato in California come parentale in programmi di miglioramento genetico per il conseguimento di nuovi portinnesti.

Calamondino

Lima di Rangpur (Citrus limonia Osbeck) Probabile ibrido di mandarino e lima, è molto utilizzato in Brasile come portinnesto. Produce frutti mandarino-simili di color arancio intenso utilizzati per la preparazione di bevande dissetanti. Citrus amblycarpa (Hassk.) Ochse Detto anche Nasnaran, è originario dell’Indonesia. Ha frutti gialli, piccoli e acidi. Viene utilizzato come portinnesto.

Red Tangerine

Citrus depressa Hay. Originaria dell’isola di Formosa, la pianta si presenta vigorosa con chioma rotondeggiante. I frutti di color arancio sono schiacciati ai poli e con buccia sottile, la polpa è gelatinosa e acida. Conosciuto anche con il nome di Shekwasha, viene impiegato a scopo ornamentale. Citrus oleocarpa Hort. ex Tan. Noto con il nome di Timkat in Cina e Yuhikitsu in Giappone, si tratta di un mandarino dal frutto piccolo, giallo aranciato e oblato. La polpa, saporita e subacida, presenta un colore più intenso rispetto alla buccia. Red Tangerine Si colloca al terzo posto tra i mandarini maggiormente coltivati in Cina per un totale di 500.000 tonnellate l’anno. Il frutto presenta

Bendizao

376


mandarino e simili una buccia dal colore rosso intenso, tanto da essere denominato “tangerino scarlatto”. Il nome locale è Hungchieh o Hongju. Viene utilizzato anche come portinnesto. Citrus succosa Hort. ex Tan. Noto con il nome di Bendizao, viene coltivato in Cina con una produzione di circa 200.000 tonnellate annue. Il frutto, simile al satsuma, ha una bassa acidità e presenta semi. Citrus kinokuni Hort. ex Tan. Antica pianta originaria della Cina, dove è denominata Nanfengmiju, si è diffusa in Giappone ed è conosciuta con il nome di Kishu mikan. Ancora oggi è popolare per il gusto gradevole e la fragranza distintiva. I frutti di color arancio intenso sono piccoli e hanno pochi semi. Si producono circa 100.000 tonnellate l’anno. Citrus lycopersicaeformis Hort. ex Tan. Nota con il nome di Kokni o Kodakithuli, proviene dall’India. I frutti sono molto piccoli e di color arancio intenso; presentano una polpa di gusto gradevole in piena maturazione.

Nanfengmiju

Calendario di maturazione delle principali varietà di mandarini e mandarino-simili Settembre 10

20

Ottobre

Novembre

30 10 20 30 10 20 Miyagawa Primosole Clemenrubì® Caffin Spinoso SRA 89 Etna Corsica 2

30

Dicembre 10

20

30

Gennaio 10

20

Febbraio 30

10

20

Marzo 30

10

20

Aprile 30

10

SRA 63 Comune Simeto Alkantara® Avana Tacle® Nova Satsuma e suoi ibridi Clementine Triploidi Mandarino Altri ibridi

Hernandina Tardivo Nadorcott® Mandared® Tardivo di Ciaculli Mandalate® Fortune

377

20

30


gli agrumi

ricerca Pummelo e pompelmo Giuseppe Reforgiato Recupero, Santo Recupero

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ricerca Pummelo e pompelmo Il pummelo, specie vera Il pummelo (C. maxima), insieme al cedro e al mandarino, rappresenta una delle tre specie vere esistenti nel genere Citrus; tutte le altre specie sono ibridi naturali, alla cui formazione spesso ha concorso l’uomo con la diffusione e la concentrazione di individui raccolti da varie aree geografiche. I frutti del pummelo, antico antenato del pompelmo, anche se molto più dolci e meno acidi, raggiungono nel genere Citrus le maggiori dimensioni (sino a 9-10 kg). La loro forma è rotonda o leggermente a pera. La buccia è gialla, spessa ed elastica; la polpa può essere di colore variabile dal giallo al rosso (con diverse gradazioni a seconda della cultivar). I pummeli pigmentati sono simili ai gialli, tranne che per il colore rosso causato dal carotenoide licopene, che varia dal rosa chiaro al rosso intenso. Come il pompelmo, può risultare molto variabile per numero di semi, succosità, dolcezza, anche se generalmente è più dolce; inoltre, quando viene consumato fresco, i segmenti vengono privati delle membrane che li avvolgono. L’albero del pummelo è abbastanza alto (da 5 a 15 m). Le foglie sono di colore verde scuro e coriacee, lunghe 12,5 cm e larghe 6 cm in media. Gli alberi producono grandi fiori bianchi profumati. Il frutto richiede una significativa quantità di calore per diventare dolce e quindi si giova di un clima tropicale o subtropicale. Il pummelo, come il pompelmo, contiene il flavanone naringina, che impartisce un sapore amaro alla polpa.

Usi medicinali del pummelo

• Nelle Filippine e nel Sud-Est asiatico,

decotti di foglie, fiori e scorza vengono somministrati per il loro effetto sedativo nei casi di epilessia e tosse convulsiva. Il decotto di foglie viene applicato su gonfiori e ulcere. Il succo del frutto si prende come febbrifugo. In Brasile la gomma che trasuda dagli alberi malati trova impiego come rimedio per la tosse. L’estratto ottenuto dai fiori è utilizzato per combattere l’insonnia e anche come cardiotonico. Gli estratti fogliari hanno dimostrato attività antibiotica

Foto P. Sidoti

Origine, tradizioni e aree maggiormente interessate alla coltura Il pummelo, originario del Sud-Est asiatico, cresce spontaneo sulle rive dei fiumi nelle isole Fiji e Tonga, in Malesia. È anche noto come pamplemousse, pomelo, limone bali, limau besar e, naturalmente, shaddock. Quest’ultimo nome deriva dal fatto che nel 1696 è stato introdotto nelle Barbados dal capitano Shaddock. In Cina i primi riferimenti ai pummeli coltivati risalgono all’epoca della dinastia Zhou (1045-256 a.C.). Attualmente questo agrume è molto coltivato nel Sud (nelle province di Fujian, Guangdong, Guangxi, Hunan, Zhejiang, Sicuan). I cinesi credono che mangiare pummeli porti fortuna e prosperità; infatti il loro consumo è sempre notevole durante il Capodanno cinese, perché si ritiene di buon augurio. È anche molto coltivato nel Sud della Thailandia sulle sponde del fiume Tha Chine, a Taiwan, nel Giappone meridionale (dove viene chiamato buntan o zabon), nel sud dell’India, in Malesia, Indonesia, Nuova Guinea e Tahiti. Inoltre è diffuso nei Caraibi e negli Stati Uniti (California e Florida). Si ritiene che l’introduzione nelle Indie abbia contribuito a un miglioramento delle sue caratteristiche per 378


pummelo e pompelmo la presenza di frutti con buccia meno spessa e maggiore succosità. Gli Arabi lo hanno introdotto in Spagna, dove è stato coltivato su piccola scala, ma generalmente il clima europeo troppo freddo è inadatto a stimolare un idoneo grado di maturazione e questa è la principale ragione che ha portato le aree agrumicole europee a trascurare questo agrume. Essendo una specie non apomittica, la propagazione per seme ha portato a un notevole aumento della variabilità. Nel Citrus Variety Collection di Riverside, dove è presente la più vasta collezione di germoplasma agrumicolo esistente al mondo, sotto la voce pummelo sono elencate 64 accessioni che fanno riferimento a 49 diversi biotipi. Le diverse cultivar In Cina. Il pummelo Guanxi Honey è coltivato nella Cina sudorientale, nella contea di Pinghe, dove occupa una superficie totale di 300.000 ettari; viene coltivato da più di 500 anni ed è stato usato come tributo all’imperatore. Si tratta di una varietà senza semi, dolce, succosa e sempre caratterizzata da un profumo che ricorda il miele. Il peso del frutto varia da 1,5 a 2 kg. In Cina si trova anche il pummelo Liang Ping Yau, di dimensioni molto grandi. Il frutto, che contiene molti semi, ha forma piriforme, presenta sino a 14 segmenti irregolari ed è molto apprezzato nel Sud-Est asiatico per il particolare aroma. Un’altra varietà molto diffusa è il pummelo Shatianyu, dalla caratteristica forma a pera.

Frutti del pummelo Shatianyu

Foto P. Sidoti

In Giappone. Hirado Buntan’ (Hirado) deriva da un semenzale isolato nella prefettura di Nagasaki, in Giappone. Il frutto è oblato, leggermente depresso e di grandi dimensioni. A maturità la buccia diventa di colore giallo brillante, liscia e lucida. La polpa è di spessore e succosità medi, di buon sapore subacido, debolmente amaro. L’albero è di dimensioni abbastanza grandi, vigoroso, insolitamente tollerante al freddo. Le foglie sono grandi, spesse e largamente alate. Hirado, una delle varietà commerciali più diffuse in Giappone, appartiene ai pummeli a polpa bianca. A volte il colore viene descritto come un pallido giallo-verdastro. In Florida si trova una nuova selezione con la polpa rosa, che si è rapidamente diffusa. Mato Buntan è una cultivar che è stata introdotta dal sud della Cina dapprima a Taiwan, nel 1700, e in seguito in Giappone. È molto popolare sia in Cina sia in Giappone. Il frutto è medio-grande, ricco di semi, di forma variabile da obovoide a piriforme. La polpa è poco acida, di colore giallo-verdastro. In California. Wainwright è un pummelo coltivato in California, di probabile derivazione cinese. Il frutto, di colore giallo, si sbuccia facilmente e ha un aroma piacevole, anche se contiene molti semi. 379


ricerca Chandler è un incrocio effettuato a Riverside (California) tra i pummeli Siamese Sweet e Siamese Pink. In Israele, dove viene chiamato Jaffa Red Pomelo, la sua polpa raggiunge, grazie alle idonee condizioni climatiche, un colore rosso intenso. La polpa è dolce e gradita al consumatore che predilige frutti con bassi livelli di acidità. Pink Pummelo è una cultivar pigmentata appartenente al gruppo thailandese. In California si caratterizza per le qualità interne; anche se il frutto contiene parecchi semi, una ridotta acidità lo rende apprezzabile. Siamese Sweet è stato introdotto negli Stati Uniti nel 1930 dal United States Department of Agriculture (USDA): il frutto non presenta acidità, ma è leggermente amaro. In Thailandia viene raccolto quando perde il colore verde e conservato in casa per alcuni mesi per migliorarne il sapore e la succosità. In California è stato utilizzato nei programmi di incrocio ed è stato uno di genitori di Oroblanco, Melogold e Chandler. In Indonesia. Pandan Bener e Pandan Wangi sono due varietà coltivate nell’isola di Java, in Indonesia. Entrambe producono frutti oblati o rotondeggianti con polpa pigmentata. Pandan Wangi è più produttiva di Pandan Bener.

Particolare della fruttificazione di pummelo Chandler

In Vietnam e Thailandia. Le principali varietà coltivate in Vietnam sono Da Xanh e Nam Roi, in Thailandia Thong Dee, i cui frutti hanno la polpa leggermente rossastra e in particolari condizioni risultano apireni. In Malesia. I pummeli coltivati in Malesia a seconda delle caratteristiche vengono classificati nel gruppo thailandese, cinese o indonesiano. Il gruppo thailandese comprende tipi variabili nella forma e solitamente di dimensioni inferiori rispetto agli altri, anche se generalmente sono considerati di qualità superiore; crescono nello stato di Kedah, situato nella parte nordoccidentale della penisola malese. Al gruppo cinese appartengono tipi a polpa bianca con frutti piriformi. La varietà principale, chiamata Shatian, è caratterizzata da un frutto di media grandezza, e cresce negli stati di Johor, Negeri Sembilan e Melaka. Il gruppo indonesiano, estremamente vario, è contraddistinto generalmente da frutti a polpa bianca, a basso contenuto di acidità. Le varietà più comuni sono Tambun White e Tambun Pink. In Africa. Red Shaddock è una cultivar isolata in Africa a Tambuti (Swaziland). Ha un sapore particolare dovuto a un basso contenuto di acidità. La polpa di Red Shaddock è molto simile a quella del pompelmo Star Ruby, di colore rosso intenso, ma ha molti semi. La buccia è simile a quella di un pompelmo giallo.

Frutti di pummelo Chandler

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pummelo e pompelmo A Tahiti. Sarawak, detto anche pummelo Tahiti, rientra tra i pummeli ritenuti di eccellente qualità, anche se poco conosciuti. Questo frutto di piccole e medio-grandi dimensioni ha una buccia liscia, un po’ più sottile di quella di un pummelo tradizionale. I frutti medio-precoci si mantengono bene sulla pianta. La polpa è di colore giallo-verdastro e succosa. Il sapore caratteristico, che ricorda quello della lima, è apprezzato da molti. La pianta è vigorosa.

Caratteristiche che distinguono il pummelo dal pompelmo

• Presenza di pubescenza nei giovani

germogli e lungo la nervatura centrale nella pagina inferiore

• Maggiore ampiezza delle alette

Il pompelmo Nonostante la maggior parte degli agrumi sia originaria dell’Asia, il pompelmo rappresenta un’eccezione, in quanto questa specie è stata isolata nell’isola caraibica delle Barbados. Nei Caraibi le prime introduzioni di agrumi si devono a Cristoforo Colombo, e successivamente a inglesi e olandesi; alcuni agrumi (per esempio il pummelo) furono importati dalle isole della Malesia. La prima descrizione scientifica del pompelmo risale al 1837 per opera di J. Macfadyen, che attribuì al “frutto proibito della Giamaica” il nome di Citrus paradisi, accreditandosi per la prima descrizione scientifica del pompelmo. In realtà autori successivi, basandosi sulla forma del frutto semioblata (non piriforme) e sulla presenza del peziolo del pompelmo, ritengono più aderente all’attuale pompelmo la descrizione di un “pompelmo delle Barbados”, rispetto al frutto proibito. Oggi si ritiene che il pompelmo sia derivato da un incrocio naturale di pummelo e arancio dolce. La caratteristica di poliembrionia e la conseguente possibilità di propagazione attraverso semenzali apomittici hanno certamente favorito la conservazione originaria del biotipo. Si distinguono due grandi categorie di pompelmi: a polpa gialla e rosa, che tende e intensificarsi nei climi tropicali sino diventare rosso intenso. L’epoca di raccolta del pompelmo è eccezionalmente lunga, tanto che in alcuni climi può durare tutto l’anno. Dopo aver raggiunto la maturità il frutto si conserva bene sulla pianta e continua a crescere in dimensioni per diversi mesi. Nelle zone in cui la stagione di raccolta inizia nel mese di settembre-ottobre il pompelmo può essere tenuto sulla pianta fino alla fine di aprile.

del peziolo, che arrivano a sovrapporsi con la lamina fogliare

• Maggiori dimensioni dei frutti, che inoltre sono piriformi

• Maggiore spessore della buccia • Presenza di 16-18 segmenti invece dei 12 del pompelmo

• Tendenza dei segmenti ad aprirsi

in corrispondenza del punto di sutura

• Generalmente maggiore apertura dell’asse carpellare

• Polpa croccante e non molto succosa • Facilità con cui i tegumenti dei segmenti si separano dalle vescicole del succo

• Semi rigidamente monoembrionici • Fruttificazione generalmente singola (non a grappolo)

La storia del miglioramento genetico del pompelmo Sebbene il pompelmo fosse conosciuto in tutte le Indie occidentali già nel XIX secolo, solo alla fine di questo secolo crebbe la sua importanza commerciale, quando iniziò ad affermarsi in Florida, e a ciò certamente contribuì l’isolamento e la diffusione di Marsh Seedless, la prima cultivar apirena. Successivamente la preferenza del consumatore per le cultivar pigmentate ne ha determinato il declino. Il Foster rappresenta la prima cultivar rosa isolata, che però non è mai diventata popolare a causa dell’elevato numero di semi, an381


ricerca che in conseguenza del successivo isolamento del pigmentato e apireno Thompson. La pigmentazione rosa pallido del Thompson è però limitata esclusivamente alla polpa, per cui questa cultivar è stata a sua volta rimpiazzata dal pompelmo Ruby (Redblush e Ruby Red sono sinonimi), mutazione del Thompson con una maggiore pigmentazione (sia all’interno sia all’esterno). Star Ruby è una cultivar relativamente più recente, ottenuta per irraggiamento dell’Hudson. Lo scopo iniziale era ottenere una cultivar apirena, ma a seguito dell’irraggiamento è stata isolata questa nuova cultivar che, oltre a essere apirena, è anche notevolmente più pigmentata (sia all’interno sia all’esterno). Ray Ruby è una mutazione di Ruby Red con una pigmentazione esterna e interna maggiore, ma comunque minore rispetto a quella di Star Ruby. Rio Red, rilasciato in Texas, è stato anche propagato in Florida e California. Deriva dalla mutazione gemmaria di un clone (chiamato A&L-1-48) di Ruby Red, sottoposto a irraggiamento con neutroni termici. Rio Red produce frutti con un contenuto di licopene simile allo Star Ruby, ma la pianta non presenta gli inconvenienti tipici di questa varietà (sensibilità all’uso degli erbicidi). In Texas Rio Red rappresenta il 70% degli impianti di pompelmo. Una mutazione gemmaria di Thompson chiamata Fawcett Red ha dato luogo a un’altra mutazione detta Henderson, la cui polpa è caratterizzata da un colore più intenso di quella del Ruby. Una selezione nucellare di Henderson è stata rilasciata in Florida nel 1987 con il nome di Flame; ha una pigmentazione simile allo Star Ruby, ma è considerata tollerante al freddo.

Fruttificazione a grappolo di pompelmo Marsh Seedless, dalla tipica forma rotondeggiante

Pianta di pompelmo Marsh Seedless Frutti di pompelmo Star Ruby

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pummelo e pompelmo Ibridi con il pompelmo Arancio di Poorman (pompelmo della Nuova Zelanda). Si ritiene possa essere un ibrido con il pummelo e quindi un tangelo naturale. Per via della somiglianza del frutto con quello del pompelmo, viene inserito nell’elenco degli ibridi di pompelmo. È diffuso in Nuova Zelanda perché, a causa della ridotta necessità di calore, può essere coltivato in alternativa al pompelmo.

I tre gruppi delle varietà di pompelmo

• Giallo: Duncan, Marsh, Oroblanco,

Goldens, Wheeney, Sweetie e Melogold

• Rosa: Foster, Henderson (Henderson

Ruby), Marsh Pink (Thompson), Ray Ruby, Redblush (Ruby, Ruby Red, Ruby Sweet, Henninger), Shambar

Oroblanco e Melegold. Derivano dallo stesso incrocio (pummelo acidless CRC 2240 × Marsh Seedless 4x), effettuato a Riverside nel 1958, e sono i primi ibridi triploidi selezionati. Oroblanco rassomiglia al pompelmo, anche se manca del sapore amaro, mentre Melegold è più simile a un pummelo.

• Rosso intenso: Rio Red (Rio Star), Flame, Star Ruby (Sunrise, Jaffa Sunrise)

Mapo. È un tangelo rilasciato da F. Russo presso il CRA-ACM di Acireale, ottenuto dall’incrocio del mandarino Avana con il pompelmo Duncan. È precoce, ma la presenza di semi ha progressivamente fatto sì che l’interesse per la sua diffusione diminuisse. Altri tangeli che hanno raggiunto una certa diffusione sono l’Orlando e il Minneola, ottenuti dall’incrocio del mandarino Dancy con il pompelmo Duncan. Chironja. È un ibrido naturale isolato a Portorico nel 1956, con caratteristiche intermedie tra l’arancio e il pompelmo. Il frutto è di dimensioni simili al pompelmo, dal quale si differenzia perché la polpa giallo-arancio manca del sapore amaro. Inoltre, la fruttificazione non è a grappolo, come avviene nel pompelmo.

Omonimie e sinonimie

• La corretta attribuzione varietale è

complicata non solo dall’utilizzo di nomi diversi per varietà identiche o molto simili (Ruby Red e Red Blush; Oroblanco e Sweethie), ma anche dall’esistenza in alcune aree di denominazioni commerciali che accomunano varietà diverse. Per esempio in Texas sotto il nome Ruby Sweet vengono incluse le varietà rosa Henderson, Ray Ruby e Ruby Red (Redblush), sotto il nome Rio Star le varietà fortemente pigmentate Rio Red e Star Ruby

Fruttificazione a grappoli dell’Oroblanco

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ricerca D-2238. È un ibrido triploide recentemente tenuto in considerazione presso il CRA-ACM. Ottenuto dall’incrocio del clementine Monreal con un pompelmo tetraploide, manifesta una notevole e costante produzione. Il frutto tiene bene sulla pianta, riduce l’acidità prima del pompelmo Marsh Seedless e non possiede il sapore amaro determinato dalla naringina. Perché il succo di pompelmo è stato preso in considerazione dal consumatore? L’elevato consumo di succo di pompelmo non può essere esclusivamente attribuito al suo gusto e valore nutritivo. La composizione dei carotenoidi nel pompelmo differisce da quella che si riscontra nella maggior parte dei frutti di agrumi. I carotenoidi nel pompelmo giallo consistono essenzialmente in idrocarburi non colorati come il phytoene, mentre il pompelmo rosso possiede il licopene (lo stesso pigmento presente nel pomodoro), che conferisce il colore rosso, e il beta-carotene, responsabile del colore arancio. In realtà, gran parte dell’entusiasmo che ha promosso il suo uso deriva dalla ricerca medica, che ha suggerito che il succo di pompelmo riduca la formazione di placche aterosclerotiche e inibisca la tumorigenesi della cellula mammaria. È stato dimostrato l’effetto della naringina come antiossidante nello stimolare l’espressione genica degli enzimi maggiormente coinvolti nella riparazione del DNA in cellule tumorali della prostata dopo uno stress ossidativo. Tradizionalmente al succo di

Frutti di tangelo Mapo

Duncan

Oroblanco

Star Ruby

Fruttificazione singola dell’Oroblanco Frutti dei pompelmi Oroblanco, Duncan e Star Ruby

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pummelo e pompelmo pompelmo sono state attribuite le proprietà di antiossidante, antinitrosaminico, antisettico, cardiotonico, disintossicante, ipocolesterolemizzante, sedativo e digestivo. Alla luce delle attività di cui sopra, è stato tradizionalmente ritenuto coadiuvante nei casi di anoressia, ipertrofia prostatica benigna, varie malattie tumorali, diabete, disuria, elevato colesterolo, infezioni batteriche, insonnia. L’altro lato della medaglia: i casi in cui ne va limitato il consumo Accanto agli effetti positivi recentemente è stato sottolineato un effetto indesiderato, attribuibile al contenuto di furanocumarine del succo di pompelmo. Le furanocumarine (FC) sono composti chimici organici che hanno mostrato di indurre interazioni potenzialmente pericolose, in quanto incrementano la biodisponibilità di alcuni farmaci. Queste interazioni si basano sull’inibizione dell’enzima intestinale dell’uomo P450 (CYP) 3A4 e sul conseguente aumento dei livelli del farmaco. Le FC più abbondanti sono paradisin C, 6,7-dihydroxybergamottin (6,7-DHB), bergamottin. Dopo l’ingestione di succo di pompelmo le FC inducono il catabolismo di (CYP) 3A4 da parte degli enterociti intestinali e sono necessari 3-4 giorni per il suo ripristino. Pertanto i livelli nel sangue di alcuni farmaci (per esempio le statine, generalmente assunte da chi ha alti livelli di colesterolo) si possono notevolmente incrementare, producendo effetti negativi.

Frutti dell’ibrido triploide di pompelmo D-2238

Indirizzi del miglioramento genetico

• Per la selezione di cultivar di pompelmo che possono incontrare il gradimento da parte del consumatore, la mancanza dei semi e l’attrattività determinata da un intenso colore rosso sono considerate caratteristiche prioritarie nella selezione di questo agrume. Anche cultivar con un contenuto più basso di furanocumarine sono auspicabili per un particolare segmento di consumatori

Frutti dei pompelmi Star Ruby, Ruby, Pink e Shambar

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gli agrumi

ricerca Cedro Gregorio Gullo

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ricerca Cedro Foto Pontificia Commissione di Archeologia Sacra

Origine Il cedro era noto nell’antichità come medica malus, malum felix o semplicemente citrus, nome utilizzato, successivamente, da Linneo per descrivere l’intero genere Citrus. La conoscenza di questa specie di agrumi risale al 4000 a.C. Semi di cedro sono stati rinvenuti in quella che era la parte meridionale della Babilonia, nella città di Nippur. I ritrovamenti, pur non confermando la coltivazione del cedro, attestano che la pianta era nota già ai tempi della civiltà babilonese (circa 6000 anni fa); il termine medica è da collegare alla sua presenza nella Media, attuale regione nordoccidentale dell’Iran (700-500 a.C.). Tuttavia secondo molti studiosi, tra cui Miquel, questa specie avrebbe avuto origine in Cina, mentre secondo altri, tra cui De Candolle, nella regione dell’Himalaya, nell’India occidentale. Il mistero della sua origine ha dato al cedro un importante ruolo nella leggenda orientale.

Pittura muraria con raffigurazioni dei simboli della religione ebraica in una catacomba di Villa Torlonia a Roma

Diffusione Alessandro Magno, durante la campagna d’Asia (334-324 a.C.), conobbe il cedro come il “meraviglioso albero con le mele d’oro”. Il suo esercito diffuse questa pianta nella regione del Mediterraneo, nel 325 a.C. Alcuni studiosi affermano che cedri furono piantati e coltivati in Grecia dai soldati di Alessandro Magno intorno al 300 a.C.; da qui si sarebbero poi diffusi nelle isole del mar Egeo, in Sardegna, Corsica e infine Palestina, grazie ai coloni ebrei che avevano conosciuto questo agrume durante i quattro secoli di schiavitù in Egitto. Secondo altri, invece, il cedro sarebbe giunto direttamente in Palestina durante il passaggio dell’esercito di Alessandro Magno, dopo aver attraversato il Vicino Oriente e, successivamente, sarebbe stato diffuso dai Palestinesi durante il loro peregrinare nel Mediterraneo, in quanto essenziale per le liturgie di questo popolo. Testimonianze scritte sul cedro si devono al fondatore della botanica, Teofrasto, che nel 313 a.C., nella sua Storia delle piante, lo denominò “melo medico o persico”. Tuttavia, è accertato che dal 200 a.C. il cedro era saldamente stabilito in Grecia e aveva anche cominciato a diffondersi in direzione ovest verso l’Italia meridionale. Rutilio Palladio considera i cedri tra i primi agrumi portati in Italia, e la sua opinione è confermata dai murales scoperti a Pompei e dal rinvenimento, nella “Casa degli Ebrei”, luogo di incontro della comunità giudaica, di vasi provvisti di fiori che contenevano, inequivocabilmente, resti di radici di alberi di agrumi; pertanto entro l’anno 79 d.C. il cedro era diffuso nella zona di Napoli. Virgilio, nelle Georgiche, scrive del cedro: “In Media crescono le mele della felicità (Felix malum) il cui succo ha un persistente sa-

Copertina del volume Le cédratier dans l’antiquité di Victor Loret

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cedro pore miserabile, ma è un eccellente rimedio contro l’assunzione di veleni”. Victor Loret nel suo scritto del 1891 Le cedratier dans l’antique sottolinea l’importanza millenaria del cedro in ambito culturale e religioso. Nel corso del IV secolo d.C. la coltivazione degli agrumi era stata introdotta con successo in Sardegna, Sicilia e Italia continentale a sud di Napoli. Attualmente il cedro è coltivato nel bacino del Mediterraneo, in Medio Oriente, India, dove cresce anche spontaneamente, Indonesia, Australia, Stati Uniti e America meridionale (Brasile). In Italia è presente soprattutto in Calabria, prevalentemente concentrato nella fascia costiera dell’alto Tirreno cosentino, la cosiddetta “riviera del cedro” (CS) che si estende per circa 80 km.

La “riviera del cedro”

• La “riviera del cedro” si estende

da Capo Bonifati sino a Scalea, per una lunghezza di circa 80 km, risalendo dalla costa fino a un’altitudine non superiore ai 300 m s.l.m. (limite altitudinale massimo definito anche dalla legge regionale). Nei comuni che rientrano in quest’area si produce il 98% del cedro nazionale. La maggiore produzione si concentra a Santa Maria del Cedro (60%), mentre il 20% è distribuita su una fascia collinare

Inquadramento botanico Seguendo la classificazione proposta da Swingle, il cedro appartiene alla famiglia delle Aurantioideae, tribù Citreae, sottotribù Citrineae, genere Citrus, sottogenere Eucitrus, specie Citrus medica.

• I comuni della “riviera del cedro” sono

Aieta, Belvedere Marittimo, Bonifati, Buonvicino, Cetraro, Diamante, Grisolia, Maierà, Orsomarso, Papasidero, Praia a Mare, Sangineto, San Nicola Arcella, Santa Domenica Talao, Santa Maria del Cedro, Scalea, Tortora, Verbicaro

Ambiente pedoclimatico Il cedro è una specie tipicamente mediterranea, che predilige terreni sabbiosi-limosi. Tra gli agrumi è il più sensibile al freddo: una temperatura che si mantenga per alcuni giorni intorno ai 4 °C può comprometterne la produzione. La temperatura media ottimale annua è compresa tra 12 e 15 °C, con medie estive di 23-25 °C e medie invernali di 6-7 °C. Squilibri fisiologici determinati da venti freddi o caldi (scirocco) si traducono in danni ai fiori, alle foglie e alla struttura scheletrica della pianta. Per questo motivo, in Calabria, le cedriere trovano localizzazione in vallate o lungo il corso delle fiumare, su terreni sciolti non distanti dal mare, protette da canneti o da reti di polietilene; infatti la “riviera del cedro” per la sua particolare conformazione geografica è caratterizzata da un clima mite (temperato-caldo d’estate e temperato-freddo d’inverno). In questa regione, la superficie investita a cedro è stata stimata intorno a 41 ettari nel 1994 e 60-70 ettari nel 2011.

Praia San Nicola Arcella Scalea

Mar Tirreno

Papasidero

Santa Domenica Talao Orsomarso Verbicaro Santa Maria Grisolia del Cedro Maierà Diamante Buonvicino Belvedere Marittimo

Sangineto Bonifati Cetraro

IA ABR CAL

Forma di allevamento Il legno del cedro, a differenza di quello della maggior parte degli altri agrumi, si presenta fragile: da ciò la necessità, a volte, di utilizzare forme di allevamento coadiuvate da strutture di sostegno, poiché i rami principali durante la fase di maturazione dei frutti vengono gravati da pesi che potrebbero non essere in grado di reggere autonomamente. Il sistema di allevamento ha subito negli anni una notevole innovazione: inizialmente si utilizzava un pergolato che prevedeva un’impalcatura a file binate, con distanze tra le bine ravvicinate (2,50 × 2,50 m o 2,50 × 3,50 m), separate da un corridoio di servizio che veniva successivamente occupato dalle chiome, complicando ulteriormente le operazioni colturali

Tortora Aieta

Paola COSENZA La “riviera del cedro”

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ricerca Foto F. Perrone

Foto F. Perrone

Cibo sacro delle Sirene

• La leggenda racconta come i giovani

pescatori delle coste calabrolucane, dopo aver goduto dei favori delle Sirene, fossero usi omaggiare le sensuali creature con un esemplare del prezioso agrume di cedro

Tradizionale pergolato (a sinistra) e impalcatura e forma di allevamento a vaso adottato nella doppia T (a destra)

sulla pianta; in seguito si è passati a un pergolato con bine più distanziate (3 × 3 m o 3 × 4 m), sino a giungere dapprima alla fila singola, e attualmente all’evoluta doppia T. La maggiore densità di piantagione (1500 piante ha-1) e la maggiore frammentazione aziendale sono caratteristiche della zona interna della “riviera del cedro”, mentre l’area adiacente alla costa ha una densità di 900-1200 piante ha-1. Nel tradizionale pergolato, al centro dell’interfila, in coincidenza con il centro della distanza sulla fila di due piante, si installano pali, generalmente di castagno, adottando le stesse distanze usate per il sesto d’impianto. I pali di castagno, montanti (installati anche in corrispondenza della pianta), sono collegati tra loro mediante gruppi di tre canne, sia nel senso longitudinale sia in quello trasversale, utilizzando legacci di varia natura (ferro, rafia, vimini), a un’altezza di circa 1 m dal suolo. Sul lato esterno un’altra orditura di canne, parallela al corridoio di servizio, è posta a 70-90 cm dal suolo. La pianta si trova al centro di un rettangolo o di un quadrato. Ogni quadrella è caratterizzata da un’ulteriore orditura di canne, disposta lungo il filare in corrispondenza delle piante. Altre tre traverse si impiegano disponendole, trasversalmente alla fila, a un quarto della loro lunghezza, realizzando in tal modo otto piccoli settori rettangolari o quadrati, al fine di rendere più agevole l’operazione di copertura per la difesa dalle basse temperature e dal vento. Questo è lo schema dell’antico impianto, ancora oggi individuabile nel 60% delle zone più interne, che richiede molta manodopera sia per la realizzazione del pergolato sia per le operazioni di raccolta e potatura.

Schema della disposizione a bine delle piante di cedro e corridoio di servizio

Foto F. Perrone

Forma di allevamento a doppia T

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cedro La presenza dei pali di sostegno laterali, inoltre, rende difficile la meccanizzazione; ciò ha determinato l’evoluzione nell’attuale sistema a doppia T, realizzato con struttura totalmente metallica, metallica con palificazione centrale in legno, cemento precompresso e trasverse metalliche poste a due altezze, 100 e 180 cm. Questa forma è presente nella zona costiera della “riviera del cedro” e nel restante 40% della zona più interna, con una produzione che sfiora i 21 kg pianta-1 e una produzione a ettaro di circa 21 tonnellate. Nella cedriera caratterizzata dall’antica forma di allevamento la produzione è di poco superiore ai 17 kg pianta-1, ma con una resa per ettaro di circa 27 tonnellate, da attribuire alla maggiore densità di impianto. Nella doppia T, due orditure di fili di ferro zincato (recentemente sostituiti da fili in materiale sintetico), opportunamente tenute in tensione da tiranti posti alla testa del filare, si muovono parallelamente, lungo il filare, collegate a trasverse in metallo o legno, alle quali sono legate le branche con la produzione. Nella forma a doppia T, dopo l’impianto le piante vengono allevate lungo l’intelaiatura, con ripetute cimature per contenere il vigore della pianta e piegature per rendere possibile una rapida messa a frutto. Il risultato è un pergolato basso, impalcato a 1,1 m, in corrispondenza della prima T. La seconda T è utilizzata esclusivamente per il sostegno della rete ombreggiante. Nell’antica forma di allevamento i materiali utilizzati per la copertura sono posti a contatto con le piante. Il vecchio sistema di protezione invernale, che prevedeva l’impiego di stuoie, canne, felci, ha lasciato il posto alla rete antigrandine, con ombreggiamento al 50%, rimossa, nelle cedriere utilizzate per uso alimentare, nel periodo primaverile, mentre in quelle utilizzate

I panicelli

• “Sorrido pensando a quegli invogli

di fronde compresse e risecche, venuti di Calabria, che un giorno vi stupirono e incantarono, quando ve li offersi sopra una tovaglia distesa su l’erba di Dama Rosa [...] Gli invogli erano di forma quadrilunga come volumetti suggellati d’un solitario che avesse confuso felicemente la biblioteca e l’orto. Ci voleva l’unghia per rompere la prima buccia. La membrana andava in frantumi ma le nervature resistevano come quelle del dosso d’un libro legato in cartapecora. La seconda foglia era più tenace e la terza ancor più, e la quarta più ancora. Il viluppo si faceva più stretto assottigliandosi. Le dita non arrivavano mai in fondo; e l’attesa irritava la curiosità; e l’indugio faceva credere al gusto che là dentro si celasse la più saporita cosa del mondo. E m’ho tuttavia nella memoria quella grazia del viso chino, ove la bocca si socchiude e chiude per l’acqua che le viene. Ecco l’ultima foglia in cui è avvolto il segreto, profumata come il bergamotto. L’unghia la rompe; le dita s’aprono e si tingono di sugo giallo, si ungono di non so che unguento solare. Pochi acini di uva appassita e incotta, color tanè oscuro, di quel colore che ‘pare ottenga nell’occhio il primo grado’, pochi acini umidi e quasi direi oliati di quell’olio indicibile ove nuota alcun occhio castagno ch’io mi so, pochi acini del grappolo della vite del sole appariscono premuti l’un contro l’altro, con un che di luminoso nel bruno, con un che di ardente senza fiamma, con un sapore che ci delizia prima di essere assaporato...”

Foto F. Perrone

Tratto da G. D’Annunzio, La Leda senza cigno Cedri opportunamente legati per evitare danni da strofinio, da destinare ai riti religiosi

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ricerca per finalità religiose ebraiche la rete permane per tutto l’anno. In queste ultime si richiede una maggiore quantità di manodopera, impiegata per fissare i rametti con i frutti e quindi “bloccarli”, evitando così danni da strofinio con altri frutti e rami o con gli eventuali aculei, che tuttavia vengono rimossi in prossimità dei frutti. Interessanti prospettive nelle forme di allevamento si aprono per il prossimo futuro. Infatti, forme di allevamento alternative sono in prova in alcune aziende della “riviera del cedro”. Tra queste sono state individuate sia una forma a T, con corridoio di servizio e totale copertura dell’impianto con rete ombreggiante, sia una forma a Y, sempre sotto copertura totale, che si presta molto bene alla coltura del cedro, poiché riesce a utilizzare tutta la superficie, agevolando le operazioni di raccolta e le operazioni colturali, in genere. Queste forme di allevamento sperimentali potrebbero ridurre i costi di manodopera, a fronte però di un maggiore investimento al momento dell’impianto.

Il cedro nel rituale ebraico

• Le piante destinate alla produzione di

cedri da utilizzare nei riti della religione ebraica sono sottoposte a particolari cure. I rametti portanti i frutti vengono fissati alle strutture. Si procede alla rimozione degli aculei vicino ai frutti per evitare danni accidentali sulla superficie dei cedri. Le piante devono essere autoradicate e di età superiore ai 4 anni

Frangiventi La cedriera deve essere realizzata in zone non soggette a forti venti. La protezione nelle vecchie cedriere è effettuata con frangiventi vivi o morti: tra quelli morti, sono diffuse le reti in sostituzione delle stuoie di paglia o i muri di cinta, mentre tra quelli vivi si menzionano le tuie o gli oliveti allevati a siepe o le canne, utilizzati anche per la realizzazione del pergolato. Caratteristiche botaniche Le foglie, ricche di ghiandole oleifere, sono glabre, ovali-oblunghe, con margine dentato, di consistenza coriacea, con nervaFoto F. Perrone

Forme di allevamento a T e Y poste a confronto, sotto rete ombreggiante Sistema di copertura a tutto campo

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cedro tura principale rilevata; il colore, che inizialmente è rossiccio, nella foglia adulta diventa verde lucido e intenso nella pagina superiore, e più chiaro nel versante inferiore. Il picciolo è breve e non alato. Il fiore è grande, profumato, portato da un’infiorescenza racemosa (3-12), di colore rosso violaceo in boccio. Presenta un calice gamosepalo con cinque lobi, corolla con cinque petali di colore bianco, tendenzialmente carnosi, e un numero variabile di stami filamentosi (3-30), pistillo abbastanza elementare con stilo e stimma lobato. I fiori possono essere ascritti a due tipologie: quelli completi e quelli unisessuati, per aborto del gineceo. I fiori completi solitamente sono posizionati alle estremità dei rami mentre quelli unisessuati si sviluppano lungo l’asse del ramo. I fiori unisessuati sono destinati a cadere. La fioritura è continua, con un flusso primaverile, uno estivo (il più importante) e uno autunnale.

Foto F. Perrone

Frutti I frutti sono di varia forma, oblunghi con apice ottuso, mammellone pronunciato e stilo persistente. La buccia, liscia o bitorzoluta, è ricca di ghiandole che producono un olio particolarmente profumato. La polpa è povera di succo. Questi agrumi sono ascrivibili a tre gruppi: cedri dolci, acidi e semiacidi. I cedri acidi sono caratterizzati da fiori in boccio di colore porpora, tendente al rosso al loro schiudersi, e germogli colorati di rosa; il rivestimento del seme è scuro e la polpa è acida. I cedri dolci presentano fiori e germogli caratterizzati dall’assenza della colorazione porporina e rosa tipica dei cedri acidi.

Fiore di cedro

Foto F. Perrone

Rametto con fiori di cedro Foglie di cedro

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ricerca Cultivar Cedri acidi Liscia di Diamante o Italiana o Calabrese. Il frutto, di forma ovale-ellissoidale lobata, è di grandi dimensioni e presenta una cavità peduncolare rugosa, circondata da un colletto basso. L’apice è mammellonato. Ha una buccia sottile, liscia, a volta lobata e costoluta, che a maturazione raggiunge una colorazione giallo limone. Ha profumo intenso, albedo carnoso, endocarpo croccante, poco succo di sapore acido. Ha sostituito l’omonima cv Calabrese (nota anche come Vozza Vozza o Rugosa per la sua particolare forma da irregolare a bitorzoluta). È la cultivar più diffusa in Italia e la più richiesta dall’industria dolciaria, per la canditura, nei mercati sia nazionali che internazionali.

Classificazione dei frutti della cv Liscia di Diamante

• Dal punto di vista commerciale i frutti

della Liscia di Diamante sono suddivisi in cinque classi: - Extralarge: >450 g - Large: da 330 a 450 g - Small: da 100 a 330 g - Rust: prodotto con macchie di ruggine - Discard: prodotto di scarto, giallo, bitorzoluto e tondeggiante

Riccia o Bitorzoluta o Rugosa. Ha una buccia spessa, rugosa, bitorzoluta, con la presenza di solchi in corrispondenza della cavità peduncolare. Il colore è giallo limone. Di forma subsferica, presenta dimensioni ridotte rispetto alla Liscia di Diamante. Policarpa. Si tratta di una cultivar diffusa in Grecia. Il frutto è di dimensioni medie, di forma subsferica, globosa, con apice arrotondato, asimmetrica. La buccia, di colorazione giallo citrino, è spessa e fortemente solcata in corrispondenza della cavità peduncolare. La polpa è poco succosa e acida.

Foto F. Perrone

Limoniforme. È la più importante cultivar di cedro coltivata in Grecia. È simile alla Liscia di Diamante, dalla quale si differenzia Foto F. Perrone

Cedri della cv Liscia di Diamante, con persistenza stilare, molto ricercati per i rituali ebraici; si noti la legatura dei frutti Frutto di cedro della cv Liscia di Diamante

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cedro per le profonde costolature longitudinali e la presenza di bitorzoli sull’epicarpo. Etrog. I frutti di questa cultivar, originaria della Palestina, hanno dimensione medio-piccola, forma ellissoidale-fusiforme e colorazione della buccia a maturazione simile a quella del limone. Inoltre, la buccia è spessa, carnosa, caratterizzata da una superficie lievemente rugosa e bitorzoluta. Lo stilo è persistente e l’umbone apicale prominente e rugoso.

Festa delle Capanne

• Denominata anche festa dei tabernacoli

o festa del raccolto (festa del Sukkot), è celebrata intorno alla prima quindicina di ottobre

• Per una settimana gli Ebrei abitano in

una capanna (sukkà) non fissata al suolo, costruita all’aperto, utilizzando materiali vegetali, con un tetto che lascia vedere il cielo, a ricordo dell’esodo dall’Egitto, durante il passaggio nell’inospitale deserto, a memoria della protezione che Dio concesse al suo popolo

Cedri dolci Corsicana o Corsa. Questa cultivar è originaria della Corsica, come si deduce dal nome; successivamente si è diffusa in Francia (Provenza), Spagna meridionale, Portorico, Florida e California. Il frutto è grande, di forma ellissoidale-ovale, con buccia rugosa, leggermente costoluta, di colore giallo a maturazione. L’area basale è arrotondata e l’umbone è quasi irrilevante. La polpa, priva di succo e di sapore dolce, è poco ricercata dai mercati esteri.

• Durante questi sette giorni, ad

eccezione del sabato, gli abitanti delle capanne devono agitare in ogni direzione un mazzetto, che tengono nella destra, composto da un ramo di palma dattifera (lulàv), due rami di salice di fiume (aravà) e tre rami di mirto (hadas), mentre recano nella sinistra un frutto di cedro (etrog)

Cedri semiacidi Appartengono a questa categoria il cedro Earle e il Digitato o Mano di Buddha. Il cedro Earle è stato individuato in California e successivamente coltivato in Portorico e a Cuba, mentre poco rilevante è la sua presenza in Florida e California. Di dimensioni medie, è caratterizzato da una depressione radiale al centro e dalla presenza di un apice mammellonare. La buccia Foto F. Perrone

Foto F. Perrone

Frutto della cv Limoniforme Frutto della cv Policarpa

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ricerca è liscia, leggermente lobata e costoluta. La polpa è scarsa, lievemente acidula. Il cedro Digitato o Mano di Buddha, coltivato da tempi remoti in Indocina, Cina e Giappone, per uso religioso o per scopo ornamentale, ha un frutto di grandi dimensioni, con buccia quasi liscia, di colore giallo limone. Caratteristica è la suddivisione longitudinale del frutto in numerose sezioni che per la loro forma fusiforme richiamano all’idea le dita di una mano. Limoni cedrati I limoni cedrati sono ibridi tra limone e cedro. I frutti sono simili al cedro per pezzatura e spessore del mesocarpo, mentre la polpa ricorda quella del limone. Anche la pianta è più vicina al limone che al cedro, essendo meno esigente e più resistente alle basse temperature. I limoni cedrati sono utilizzati come surrogato del cedro nella preparazione dei canditi. Tra i limoni cedrati, la cultivar più apprezzata è la Spadafora di Trabia, attualmente coltivata su pochi ettari, nel comune di Trabia; è denominata, in funzione delle dimensioni, Pirittuni e Piretto. Da ricordare, infine, il limone Ponderosa e il limone cedrato di Catona, la cui coltivazione è limitata alla provincia di Reggio Calabria. La cedrina (Citrus medica citrea gibocarpa) è una varietà di cedro usata solo per la produzione dell’essenza, che si estrae dalle foglie. Si tratta di una sostanza dal forte odore di cedro, composta essenzialmente da limonina e citrale, le due essenze tipiche del cedro.

Limone cedrato Spadafora di grandi dimensioni “Pirittuni”

Limone cedrato Spadafora di piccole dimensioni “piretto”

Limone Ponderosa Cedro Mano di Buddha

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cedro Foto F. Perrone

Fasi della lavorazione dei cedri

• Prima salamoiatura: i cedri sono

sottoposti a salamoiatura mediante immersione in botti contenenti soluzione salina. La prima salamoiatura si conclude quando le bucce acquisiscono un aspetto cristallino

• Sbuzzatura: i frutti, dopo essere stati tagliati a metà, vengono privati della polpa con un’operazione di scucchiaiatura

• Incoronatura: dopo la sbuzzatura

le scorze di cedro vengono sovrapposte le une alle altre

Frutti di cedro in salamoia, salamoiati e pronti per la sbuzzatura

Il cedro in cucina Il cedro, oltre a essere utilizzato per la preparazione di canditi, entra nella produzione di liquori, granite e gelati. Nella pasticceria artigianale, trasformato in crema e in marmellata, esalta la pasta sfoglia e la pasta frolla di ogni crostata. Inoltre, si inserisce in alcune ricette della gastronomia locale, sia di primi sia di secondi piatti (di carne o pesce), acquisendo un ruolo rilevante per le sue pregevoli qualità organolettiche. Un ruolo rilevante ha assunto l’olio extravergine d’oliva aromatizzato al cedro. Ricercati sono i cosiddetti “panicelli” di D’Annunzio, che lo stesso autore menzionò nel racconto La Leda senza cigno, pubblicato nel 1916.

• Stratificatura: le scorze “incoronate”

vengono disposte nelle botti a cerchi concentrici, realizzando diversi strati

• Seconda salamoiatura: le botti vengono riempite di salamoia e inviate ai centri specializzati nella canditura

Foto F. Perrone

Vendita ambulante di limoni cedrati Cedri canditi e prodotti ottenuti dal cedro (confetture e liquori)

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gli agrumi

ricerca Bergamotto Valentino Branca

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).


ricerca Bergamotto Origine Il bergamotto (Citrus bergamia Risso) è un agrume di origine ac­ certata da studi recenti con marcatori molecolari da ibridazione di C. aurantium x C. limon. Citato per la prima volta dal botanico e medico Johann Christoph Volkamer, in una delle sue opere sulle esperidee, secondo Galle­ sio sarebbe un ibrido di C. aurantium × C. limon, mentre Savasta­ no lo descrive come una mutazione di limone e Chapot ipotizza sia un ibrido tra C. aurantium e C. aurantifolia. Secondo Swingle, il bergamotto sarebbe da considerare una varietà botanica di C. aurantium L., mentre Tanaka lo classifica come una specie auto­ noma: C. bergamia Risso. Per quanto concerne il luogo di provenienza, altri studiosi lo fanno provenire dalla Cina, dalla Grecia, da Pergamo, città dell’Asia, o dalla città spagnola di Berga, dove sarebbe stato importato da Cristoforo Colombo di ritorno dalle isole Canarie. Storia Secondo Chapot la presenza del bergamotto sarebbe stata ac­ certata nella città di Reggio Calabria fin dal XV secolo. L’unico al­ tro paese che presenta coltivazioni di un qualche rilievo è la Costa d’Avorio, dove il bergamotto è stato introdotto all’epoca della co­ lonizzazione francese. Ma oltre il 90% della produzione mondiale di questo agrume proviene dalla provincia di Reggio Calabria, che

Zone di produzione del bergamotto in Calabria

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bergamotto è quella con la più elevata eliofania d’Italia, protetta dai venti del nord dal massiccio dell’Aspromonte. Per secoli questo agrume è stato utilizzato perlopiù a scopi orna­ mentali, nei giardini delle famiglie dell’aristocrazia, a cominciare dai Medici (si riconoscono diversi bergamotti nei quadri di Bar­ tolomeo del Bimbo raccolti al Museo di fisica e storia naturale di Firenze) e, marginalmente, in gastronomia. È stata soltanto la successiva scoperta delle proprietà del suo olio essenziale a dare uno slancio deciso alla coltivazione e allo sviluppo dell’attività di estrazione dell’essenza, a partire dal 1750; attività intorno alla quale si è sviluppata una vera e propria civiltà e una cultura del bergamotto, che ha profonde radici contadine ed è evoluta nel tempo verso dimensioni prima artigianali e poi, dalla metà dell’Ottocento, industriali. All’inizio non solo la raccolta, ma anche l’estrazione dell’essenza veniva fatta a mano, utilizzando spugne naturali per far sprizzare il nettare del bergamotto dalla sua scorza; ed è stato così per generazioni, fino all’invenzione delle prime “macchine calabresi”. I primi bergamotteti di cui si ha notizia vennero impiantati vicino al capoluogo calabrese intorno al 1750 da alcuni lungimiranti agri­ coltori, quali Nicola Parisi e i Valentino. La fortuna dell’essenza di bergamotto si deve però all’italiano Gian Paolo Feminis che, emi­ grato a Colonia nel 1680, formulò l’Aqua admirabilis, utilizzando insieme ad altre essenze l’olio estratto manualmente pressando la scorza del frutto e facendola assorbire da spugne naturali, col­ locate in appositi recipienti.

Foto Laruffa Editore

Cesti e panieri imbottiti di iuta usati per la raccolta e il trasporto dei frutti

Famiglie che lavoravano durante il periodo del bergamotto

Foto Laruffa Editore

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ricerca Le acque di colonia, oggi vastamente impiegate, traggono la loro origine proprio da tale ricetta, in quanto i Farina, eredi del Feminis, la brevettarono nel 1704 con il nome della città tedesca e la dif­ fusero con grande successo in tutto il mondo. Da allora, il berga­ motto resta uno dei grandi prodotti basilari per la realizzazione del profumo, sempre al passo con i tempi e adattabile a tutti i tipi di composizione, al riparo da evoluzioni sociali e mode. Anche uno dei più diffusi tè inglesi, l’Earl Grey, ha tra i costituenti fondamen­ tali l’essenza di bergamotto, come pure profumi molto noti come Eau Sauvage di Dior. Superficie Sin dalla metà del XVIII secolo, la superficie destinata alla coltura del bergamotto è aumentata con un ritmo vertiginoso, in ragione della progressiva richiesta dell’essenza, fino a raggiungere e tal­ volta superare i 4000 ettari (1932). Allo stato attuale, è oltremodo aleatoria la definizione dell’esatta superficie interessata da questa coltura, che, dall’inizio degli anni ’70, ha registrato una drastica riduzione per motivi riconducibili in primo luogo alla speculazione edilizia e poi alla sfiducia generata dalle continue crisi di mercato. La statistica ufficiale quantificava in 3500 ettari le superfici colti­ vate nel 1970; nel 1980 la superficie censita ammontava a 3809 ettari, poi ridotta a 2442 nel 1990, mentre l’ISMEA, in uno studio sulle piante officinali, faceva riferimento a 1500 ettari. Sempre la statistica ufficiale quantifica in 1460 ettari le superfici coltivate al 2009. Si ha ragione di ritenere, sulla base dei rilevamenti effettuati sul territorio e delle indagini condotte presso i trasformatori, che la superficie coltivata si attesti oggi sui 1100 ettari. Per quanto concerne l’ubicazione territoriale, le superfici censite si estendo­

Taglio manuale dei frutti

Cavatura, con appositi coltelli, delle semicalotte (famiglia Amodeo)

Immersione in acqua e calce delle semicalotte cavate Germoglio in fioritura

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bergamotto no dai limiti del comune di Reggio Calabria sino al confine con la limitrofa provincia di Catanzaro, risalendo lungo la costa ionica e localizzandosi prevalentemente sui bordi delle fiumare. Le con­ centrazioni maggiori si registrano nei territori comunali di Reggio Calabria (16,7% della superficie), Condofuri (15,3% della super­ ficie), Brancaleone (14,1% della superficie), Melito Porto Salvo (11,6% della superficie), Bova Marina (10,3% della superficie), oltre che in altri 18 comuni (10% della superficie). Nei momenti di crisi, la gestione in forma associativa del mercato dell’essenza si è realizzata a opera di un consorzio appositamente costituito intorno al 1930, ma svuotato nel tempo delle sue funzioni. Recen­ temente, nel 2004, si è avviata, per volontà di alcuni imprenditori privati, una nuova fase di promozione con la costituzione del nuo­ vo consorzio, “Unionberg OP”, sorto allo scopo di concentrare e commercializzare il prodotto, nonché di offrire assistenza ai propri associati che, in base allo statuto, si impegnano a conferire alme­ no il 75% dell’olio essenziale ricavato dalle superfici dichiarate.

Semicalotte dopo il trattamento in acqua e calce, pronte per l’estrazione a spugna

La pianta La pianta di bergamotto si presenta di medio vigore, con portamen­ to variabile da assurgente a espanso; l’altezza in genere non è supe­ riore ai 4 metri. Si tratta di un albero sempreverde, con tronco dirit­ to, a sezione rotondeggiante, di colore grigio tendente al nero nelle piante adulte. I rami sono irregolari e divaricati a costituire la chioma a vaso aperto, con ramificazioni fragili e inermi, sebbene spesso alla base di quelle terminali si riscontrino piccole spine rudimentali. Durante l’emissione del nuovo germoglio le foglie si presentano di colore verde chiaro; solo in seguito diventano di colore scuro superiormente e verde più chiaro inferiormente. Fuoriuscita degli oli essenziali dagli otricoli dopo il trattamento con acqua e calce

Estrazione manuale con il metodo a spugna Lavaggio dei frutti, prima della lavorazione, in un piccolo impianto artigianale

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ricerca I fiori, profumatissimi, possono presentarsi terminali, ascellari, isolati o numerosi e riuniti in corimbo. Il fiore è ermafrodita prov­ visto di un peduncolo; il calice è tubulato, con sepali di colore verde pallido saldati alla base; i sepali sono a forma triangolare, con tessuto carnoso provvisto di molte glandule che ne rendono ruvida la superficie. La corolla è dotata di 5 petali di forma lanceo­ lata inseriti alternativamente con i sepali, di colore bianco perla nella parte superiore, a superficie lievemente convessa e provvisti di poche ma grosse glandule di essenza. La fioritura inizia dalla fine del mese di marzo e si prolunga per tutto aprile, fino alla prima decade di maggio. Il frutto è una bacca pluri­ carpellare di grandezza diversa a seconda della varietà. La forma è variabile e può essere arrotondata, depressa, piriforme, umbona­ ta. L’esocarpo è piuttosto liscio, di colore verde se immaturo (ricco di clorofilla) e tendente al giallo citrino se maturo. La colorazione al momento della maturazione industriale è giallo-verdognola. Il peso del frutto può variare dagli 80 ai 300 g e sulla stessa pianta si possono trovare frutti di diverse dimensioni. Il frutto se lasciato a lungo sulla pianta ingiallisce e da un colore chiaro diviene giallo intenso rendendo difficile l’estrazione dell’essenza. La resa in essenza (scopo primario della coltivazione del berga­ motto) aumenta con il progredire della maturazione del frutto ed è massima nel periodo della maturazione industriale, compreso tra la prima decade di dicembre e la fine di gennaio. L’essenza, per l’ulteriore maturazione dei frutti, subisce alcuni processi di trasfor­ mazione, per cui diminuisce sensibilmente dalla fine di gennaio in poi. La fruttificazione in piante giovani inizia generalmente al terzo anno dall’impianto, aumenta progressivamente sino a raggiunge­

Emulsione di essenza, acqua e frazione solida dopo l’operazione di abrasione dell’epicarpo

Impianti di bergamotto nell’areale reggino (inizio ’900)

400


bergamotto re la pienezza a 15 anni e si mantiene costante per 20-25 anni con un numero di frutti per pianta che oscilla da 300 a 800. Il periodo di raccolta varia in ragione della cultivar, della natura, dell’esposizione del terreno, delle condizioni atmosferiche e delle cure colturali. La produzione oscilla da 15 a 20 t ha-1 di frutti; da ogni tonnellata di frutti si ottengono mediamente 4,5-5,5 kg di essenza genuina. È difficile descrivere gli impianti, perlopiù obsoleti e distribuiti lun­ go le fiumare, senza alcun carattere di particolare innovazione e tutti innestati su arancio amaro, mentre fino all’inizio del XX secolo il portinnesto più utilizzato era la limetta dolce, che assicurava alte rese e ottima qualità dell’essenza. Le distanze di impianto variano da 4 × 4,5 m a 5 × 5 o 6 × 4 m negli impianti più recenti.

Frutti della cv Castagnaro

Descrizione delle cultivar Esistono tre varietà coltivate: la più diffusa è la cv Fantastico (70% degli impianti), seguita da Femminello (20%) e Castagnaro (10%). Castagnaro Si tratta probabilmente di un ibrido naturale. L’albero è di medio sviluppo, con portamento assurgente, mediamente resistente ai

Pianta della cv Castagnaro

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ricerca venti; i frutti, di forma e volume variabile, sono quasi tutti umbo­ nati, ingrossati equatorialmente, con epidermide rugosa e spes­ so solcata. Il peso medio del frutto è di 180 g, la resa in essenza è elevata, la buccia è resistente e l’estrazione non facile. La fioritura inizia alla fine di aprile, per ultimarsi alla fine di maggio. L’epoca di maturazione va dalla fine di novembre alla fine di febbraio; nelle annate di carica si possono ottenere anche 200 kg di frutti per pianta. È la più rustica e la meno esigente delle cultivar e tende all’alternanza di produzione. Da 1 kg di frutto si estraggono 4,5 g di essenza. Frutti della cv Femminello

Femminello Si tratta di una pianta di ridotto sviluppo, poco longeva e di de­ bole vigore; i frutti, di forma rotondeggiante, costanti in volume, con una buccia liscia e di colore giallo paglierino, si presentano isolati, con un peso medio di 120 g; l’esocarpo è liscio e ricco di glandule di oli essenziali, di qualità superiore rispetto a quella della cv Castagnaro. La fioritura inizia alla fine di marzo e rag­ giunge il suo apice in aprile-maggio; la pianta adulta porta in

Piante della cv Femminello

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bergamotto media 50 kg di frutti, senza alternanza. L’epoca di maturazione anticipa quella della cv Castagnaro e si estende da novembre a gennaio. Da 1 kg di frutto si estraggono 5,9 g di essenza, di eccellente qualità. Fantastico Probabilmente trattasi di una mutazione gemmaria della cv Ca­ stagnaro; è un albero di elevato vigore, con portamento assur­ gente, di elevata produttività. I frutti riuniti in grappoli, di for­ ma riconducibile a una trottola o una pera, sono uniformi come pezzatura; il loro peso medio è di 150 g, con massimi di 200 g. L’esocarpo, regolare e un po’ ruvido, è ricchissimo di glandule essenziali. La fioritura inizia ai primi di aprile e termina alla fine di maggio. La produzione è abbastanza costante; in media si raggiungono 120 kg per pianta. La maturazione si estende da novembre a gennaio. La qualità dell’essenza è ottima; da 1 kg di frutti si ottengono 6,5 g di essenza. Commercialmente è la cultivar più redditizia, per­ mettendo di ottenere un’essenza ottima, abbinata a una buona produzione e a una discreta adattabilità.

Frutti della cv Fantastico

Frutti della cv Fantastico

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gli agrumi

ricerca Altri agrumi Giuseppe Reforgiato Recupero, Santo Recupero

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).


ricerca Altri agrumi Vengono considerati minori quegli agrumi che, pur essendo tassonomicamente distanti, sono accomunati da un peculiare e limitato utilizzo, non paragonabile a quello di altre specie largamente coltivate. In alcuni casi la loro destinazione ha riguardato particolari segmenti di mercato (succhi, liquori, canditi, ornamentale o specifici usi domestici). Alcune specie descritte (per esempio le lime) in realtà sono scarsamente coltivate nel nostro territorio; va però rilevato che il loro utilizzo, molto comune in altri paesi, si sta diffondendo anche in Italia attraverso l’importazione dei frutti, agevolata da una sempre più diffusa internazionalizzazione delle abitudini alimentari. Per altre specie la presenza è limitata esclusivamente a istituzioni scientifiche (orti botanici, università, centri di ricerca).

Cocktail Margarita

• Il Margarita è un tipico cocktail

messicano prodotto mescolando tequila (liquore ottenuto dalla distillazione dell’agave blu), liquore all’arancia, succo di lima messicana. Va shakerato con ghiaccio e servito nella tipica coppetta, detta crusta, con l’orlo cosparso di sale

• Le proporzioni dei tre componenti

possono così variare: - 60% tequila, 20% liquore all’arancia, 20% succo di lima fresco - 50% tequila, 25% liquore all’arancia, 25% succo di lima fresco - 33% tequila, 33% liquore all’arancia, 33% succo di lima fresco

Lima Lima messicana (Mexican lime, Key lime, Bartender’s lime, West Indian lime) La lima messicana (C. aurantifolia Swing.), originaria dal Nord dell’India, dove è nota come kaghzi nimbu, fu introdotta nell’area mediterranea dai crociati; in Italia era nota già nel XIII secolo. Gli spagnoli la introdussero nelle isole caraibiche nel XVI secolo e, in seguito, in Messico. In Florida, è coltivata principalmente nelle isole Key e a Fort Myers, a ovest di Miami. In Messico, principale produttore mondiale, seguito da India ed Egitto, trova diverse utilizzazioni, per guarnire cibi, preparare bevande alternative alle limonate, curare infiammazioni, alleviare punture d’insetto, profumare il corpo e, in particolare, come componente fondamentale di una bevanda alcolica nazionale. Circa il 40% del prodotto di questo paese è destinato all’industria di trasformazione per la produzione di succhi e oli essenziali, esportati prevalentemente negli Stati Uniti. A questa specie è attribuita un’origine complessa, a cui hanno partecipato il cedro, il pummelo e una specie del genere Microcitrus (Barrett e Rhodes, 1976). Più recentemente, sulla base dei dati ottenuti con marcatori molecolari RAPD e SCAR, è stato riportato anche il coinvolgimento di C. micrantha (Nicolosi et al., 2000). L’albero è di medio vigore, a portamento espanso, quasi cespuglioso, con rami sottili e corte spine. L’estrema sensibilità al freddo ne limita la coltivazione negli ambienti italiani. Da qualche anno nei vivai a destinazione ornamentale si è diffuso un clone senza spine. I fiori sono piccoli, singoli o riuniti in gruppi, con petali e stili leggermente colorati di rosso; le foglie sono piuttosto piccole, di forma ellittica con apice arrotondato o leggermente appuntito. I frutti, che pesano 25-35 g, hanno forma rotondeggiante o leggermente ellittica e

• L’associazione mondiale dei barman

(IBA) raccomanda, per il vero Margarita, 7 parti di tequila, 4 parti di liquore all’arancia e 3 parti di succo di lima. Sono note alcune varianti zuccherate e alla frutta (fragola, mirtillo, pesca e banana)

Fiori della lima messicana

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altri agrumi buccia sottile, ricca di profumati oli essenziali, con piccolo umbone; a maturità sono di colore giallo brillante e poco persistenti sulla pianta. La polpa è suddivisa in 10-12 segmenti succosi, particolarmente acidi: il colore verdastro la differenzia dai comuni limoni. I semi sono altamente poliembrionici. I semenzali di questa lima sono utilizzati come piante indicatrici del virus della “tristeza”. Lima di Tahiti La lima di Tahiti (C. latifolia Tan.) viene anche identificata come lima persiana, ma è noto che originariamente non era diffusa né nell’antica Persia né a Tahiti. La specie si diffuse dall’Asia nel resto del mondo attraverso due percorsi: in Europa e nel bacino del Mediterraneo da una rotta commerciale che passava dall’antica Persia; in California, nella seconda metà del XIX secolo, dall’Australia attraverso Tahiti. I commercianti portoghesi la introdussero, infatti, in Brasile già nel XVI secolo e da questo paese essa si diffuse nel XIX secolo in Australia e a Tahiti. In California è stata anche chiamata Bearss seedless, dal nome del primo agricoltore. In Europa è coltivata estesamente soltanto nell’isola tunisina di Djerba, dove è chiamata Sakhesli, termine che fa riferimento alla sua introduzione dall’isola greca di Chios. L’albero è di medio vigore con rami scarsamente spinescenti, i germogli e fiori sono leggermente colorati di rosso, le foglie ellittiche, medio-grandi con alette appena accennate o assenti. I frutti sono naturalmente apireni per la condizione di triploidia,

Frutto della lima messicana

Fruttificazione della lima di Tahiti

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ricerca determinata cioè da un triplo assetto cromosomico; sono più piccoli dei comuni limoni (ma più grandi dei frutti della lima messicana), succosi e caratterizzati da un epicarpo sottile ricco di profumati oli essenziali e di colore giallo-verdastro. I rari semi sono monoembrionici. L’utilizzo dei frutti, come anche la sua sensibilità al freddo, sono simili a quelli della lima messicana. La diffusione dell’Huanglongbing nelle aree di maggiore coltivazione sta riducendo fortemente le sue potenzialità.

Cocktail Caipirinha

• La Caipirinha è una bevanda alcolica

tradizionale del Brasile, divenuta molto comune anche negli Stati Uniti e in Europa, dove viene servita dai più famosi barman. Il termine deriva dalla parola portoghese caipira che indica gli abitanti delle zone rurali

Lima di Palestina La lima di Palestina (C. limettioides Tan.) è originaria dall’India, dove è diffusa e coltivata da lungo tempo con il nome di Mitha Nimbu ed è utilizzata anche come portinnesto. I suoi frutti, come quelli di altri agrumi (per esempio l’arancio Vaniglia), si caratterizzano per la mancanza di acidità. In India è conosciuta la varietà Soh Synteng, che si differenzia dalla Mitha Nimbu per i frutti acidi e germogli e fiori colorati di rosso. È coltivata in modo limitato anche in Vietnam, Egitto, Siria e Palestina. In Italia non sono noti impianti specializzati, mentre è discretamente utilizzata nei vivai ornamentali per le pregevoli caratteristiche estetiche inerenti l’abbondante produzione e persistenza del frutto sulla pianta. La chioma presenta un habitus di crescita irregolare con lunghe spine sulle branche, appena accennate sui rami fruttificanti. Le foglie sono ellittiche, di media dimensione, con margine leggermente frastagliato e picciolo con alette appena accennate. La

• Per un buon bicchiere di Caipirinha

occorrono: - ½ frutto di lima di Tahiti - 2-3 cucchiaini di zucchero di canna - 50 ml di cachaça (liquore di canna) - ghiaccio tritato

• Tagliare il frutto a cubetti, riponendoli

in un robusto bicchiere da cocktail. Aggiungere lo zucchero e con il pestello (pito) eseguire movimenti rotatori, per estrarre dalla buccia il succo e gli oli essenziali che conferiscono il tipico aroma. Aggiungere il ghiaccio tritato, sin quasi all’orlo del bicchiere e, infine, la cachaça. Mescolare con lo stirrer. Strofinare il bordo del bicchiere con una fetta di lima e far aderire un po’ di zucchero di canna. Servire con una sottile fetta di lima inserita sul bordo del bicchiere e due cannucce. Una variante, la Caipiroska, prevede di sostituire la cachaça con vodka

Frutti della lima di Palestina

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altri agrumi fioritura è molto abbondante e i fiori sono di colore bianco, frequentemente riuniti in gruppi. Il frutto è globoso, leggermente ellittico oppure oblato, con umbone e cicatrice stilare evidenti. L’endocarpo è formato da 9-10 segmenti succosi e senza acidità, con pochi semi altamente poliembrionici che evidenziano cotiledoni ed embrioni di colore bianco. La buccia è sottile, liscia, di colore giallo intenso nei frutti maturi, ricca di profumati oli essenziali. Nei paesi in cui è coltivata è considerata adatta a prevenire infezioni del fegato e curare sintomi influenzali. La scorza, opportunamente sbucciata e macerata in alcol, viene utilizzata per ottenere profumati e gradevoli liquori. Limetta romana L’origine della limetta romana (C. limetta Risso), chiamata anche limoncella, patriarca, è molto antica e un frutto con caratteristiche analoghe è raffigurato in un mosaico pompeiano (n. 9994) del I secolo d.C. conservato al Museo nazionale di Napoli. Giovanni Battista Ferrari in Hesperides descrive in modo dettagliato questo agrume con il nome lima dulcis. L’albero è di sviluppo modesto, con chioma rotondeggiante e rami scarsamente spinescenti. I fiori, di colore bianco, sono odorosi, singoli o riuniti in piccoli gruppi. I germogli non mostrano colorazione antocianica. Le foglie, di dimensione media e ovoidali, hanno apice arrotondato e margine leggermente crenato. I frutti sono di media pezzatura (60-70 g), globosi e depressi ai poli, con tipica solcatura e caratteristico umbone. La buccia è sottile, ricca di oli essenziali delicatamente profumati. La polpa è di colore giallastro e senza acidità. In Marocco è coltivata la limonette de Marrakech che ha caratteristiche simili alla limetta romana, da cui tuttavia differisce per l’acidità della polpa dei frutti e la colorazione rosso antocianico dei germogli. Nel Meridione, in passato, era facile rinvenire questa specie nei pressi delle abitazioni rurali. I frutti di questo agrume, opportunamente sbucciati e posti a macerare in alcol, servono per preparare un gustoso e aromatico liquore casalingo. Studi recenti eseguiti con l’ausilio di marcatori molecolari hanno messo in evidenza la possibilità che la limetta romana sia stata uno dei genitori del bergamotto.

Frutto e fiori della limetta romana

F. margarita

F. hindsii

Lima a forma di dito La lima a forma di dito [Microcitrus australasica var. sanguinea (F.M. Bail) Swing.], definita nell’area di origine (Queensland e New South Wales, Australia) australian finger lime, da un punto di vista sistematico è molto diversa dalle altre lime, appartenendo a un altro genere (Microcitrus). I suoi frutti presentano la caratteristica di avere la polpa di colore da rosa a rosso, grazie alla notevole variabilità delle forme selvatiche. Le vescicole del suc-

F. obovata

F. japonica

F. crassifolia

Le varie specie di kumquat a confronto

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ricerca co sono compresse all’interno del frutto e tendono a separarsi facilmente dai segmenti quando il frutto è aperto, per cui sono state definite caviale di agrume. Attualmente ne sono prospettati diversi utilizzi gastronomici.

Il kumquat ovale nel miglioramento genetico

Kumquat Mentre in precedenza i kumquat erano considerati tassonomicamente all’interno del genere Citrus, Swingle (1915) ne sancisce l’appartenenza al genere Fortunella, in quanto l’ovario contiene un numero minore di loculi e ovuli (all’interno di ciascun loculo); lo stigma è cavernoso; caratteristica è la produzione di frutti piccoli con polpa acida e buccia dolce, edule. Di seguito vengono descritte le specie più note.

• Di recente è stato individuato un ibrido naturale ritenuto promettente per la produzione ornamentale, scarsamente spinescente, con frutti piccoli, rotondi, di colore giallo brillante e buccia gradevolmente profumata. La maturazione estiva di questo genotipo può essere sfruttata per la produzione di agrumi ornamentali, con frutti maturi in un periodo in cui gli altri agrumi non presentano questa caratteristica

Kumquat ovale o Nagami Il kumquat ovale [F. margarita (Lour.) Swing.], descritto per la prima volta in un testo cinese del 1178 con il nome di Chin Kan (arancia d’oro), è originario della Cina meridionale. In Giappone è coltivato da molti secoli ed è noto come Nagami. In Europa è stato introdotto nel 1846 da Robert Fortune (da cui il nome), botanico della London Horticultural Society. L’albero sviluppa in modo moderato e tollera le basse temperature invernali in quanto semidormiente. È sensibile al deficit di zinco che induce ridotto sviluppo fogliare. La fioritura è tipicamente estiva (primi di luglio).

Pianta di kumquat ovale, che evidenzia una notevole fruttificazione Particolare della fruttificazione del kumquat ovale

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altri agrumi I frutti sono piccoli (circa 12 g), di forma ovale, con buccia liscia di colore arancio intenso, ricca di oli essenziali, persistenti sull’albero. L’endocarpo è formato da 4 segmenti leggermente acidi con 2-8 semi, tipicamente monoembrionici. Questa caratteristica genetica ha favorito la formazione di ibridi naturali. In Italia il Kucle, probabile incrocio con il clementine, è coltivato a scopo ornamentale. Negli Stati Uniti, nel 1965, da un semenzale è stato selezionato l’ibrido Nordmann Seedless, che produce frutti quasi apireni. In Sicilia sono coltivati pochi ettari di questa specie in coltura specializzata. Il frutto è raccolto tra febbraio e aprile e commercializzato in confezioni di 0,5-1,0 kg negli spazi dei supermarket dedicati ai prodotti esotici. Come pianta ornamentale si rinviene frequentemente nei giardini pubblici e privati. A Dade City (Florida) ogni anno si svolge il festival del kumquat, espressamente dedicato a questo agrume e ai prodotti trasformati, come gelatine, canditi e liquori.

Il kumquat ovale in pasticceria

• In Calabria da pochi anni è iniziata

una produzione artigianale di frutti canditi senza aggiunta di conservanti chimici, seguendo ricette di tradizione contadina. I frutti canditi sono di gusto gradevole, ma la copertura con cioccolato fondente li rende ancora più prelibati e ricercati

Kumquat rotondo o Marumi In Europa, il botanico svedese Carl Peter Thunberg fu il primo a descrivere le caratteristiche del kumquat rotondo [F. japonica (Thunb.) Swing.] nel trattato Flora Japonica del 1784. Questo kum­ quat è originario dal Giappone, dove è detto Kin Kan o Marumi, e sembrerebbe essere il prodotto dell’incrocio naturale tra il kum­ quat ovale e un altro kumquat non bene identificato. In Italia è conosciuto come kumquat a frutto rotondo e non risulta coltivato a livello industriale. La scarsa persistenza del frutto sull’albero, dopo la maturazione fisiologica, fa sì che questa specie sia scarsamente utilizzata anche nell’ambito del vivaismo ornamentale. È presente nelle collezioni di germoplasma e sporadicamente si rinviene nei giardini privati. L’albero sviluppa scarsamente e ha rami di colore verde, leggermente spinescenti, e foglie che, rispetto a quelle del kumquat ovale, evidenziano una rotondità più pronunciata nella parte mediana della lamina e piccole alette sul picciolo. I frutti sono rotondi, talvolta leggermente ovali, di pezzatura inferiore a quelli del Nagami (circa 10 g), con buccia sottile di colore giallo-arancio intenso. L’endocarpo è formato da 5 segmenti che contengono ognuno 1-2 semi poliembrionici con cotiledoni ed embrioni verdi. I frutti, consumati allo stato fresco, risultano di gusto gradevole, scarsamente dotati di oli essenziali e poco aciduli. I possibili usi culinari sono la canditura, le conserve in salamoia, la preparazione di marmellate e gelatine; i frutti affettati vengono utilizzati come ingredienti delle insalate e in alcuni paesi orientali sono aggiunti al tè. Kumquat a frutto grande e rotondo o Meiwa L’origine del kumquat Meiwa (F. crassifolia Swing.) non è nota e, secondo Swingle, potrebbe essere un semenzale ibrido derivato

Canditi di kumquat ovale ricoperti di cioccolato

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ricerca dall’incrocio tra il kumquat ovale e il Marumi. Risulta essere estesamente coltivato in Cina, nella provincia di Chekiang e, in modo più limitato in Giappone, nella prefettura di Fukuoka, dove è segnalata anche una mutazione con foglie e frutti variegati. In Italia, dove è conosciuto come Meiwa, non è coltivato in agrumeti specializzati, ma è presente nelle collezioni di germoplasma o, come pianta singola, nei giardini. Trova scarsa utilizzazione nell’ambito del vivaismo ornamentale per la non eccellente tenuta dei frutti maturi sull’albero. La semidormienza lo rende tollerante alle basse temperature invernali. È soggetto alle disfunzioni fisiologiche da carenza di zinco, che riduce la dimensione delle foglie e raccorcia la lunghezza degli internodi dei rametti. Questi sono scarsamente spinescenti. Una selezione nucellare, diffusa da qualche anno nei vivai ornamentali, è completamente priva di spine. La fioritura è abbondante e tipicamente estiva. I frutti hanno caratteristiche marcatamente distintive rispetto al Marumi, in quanto, pur essendo di forma rotondeggiante, sono di maggiore pezzatura (circa 15 g), con buccia di colore arancio non particolarmente intenso e scarsamente dotata di oli essenziali; l’endocarpo ha un maggiore numero di segmenti (6-7), la polpa è meno succosa e acida. I semi, poliembrionici, sono in numero limitato per frutto (3-5) con cotiledoni ed embrioni verdi. Consumati allo stato fresco, i frutti sono più gradevoli e dolci del Nagami e si prestano ottimamente per essere trasformati in canditi, marmellate, gelatine e liquori.

Particolare della fruttificazione del kumquat rotondo Frutti del kumquat Meiwa

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altri agrumi Kumquat a frutto molto piccolo o kumquat selvatico di Hong Kong Il kumquat di Hong Kong [F. hindsii (Champ.) Swing.] produce il frutto più piccolo del genere Fortunella, di forma rotondeggiante, che raramente supera un centimetro di diametro. La forma selvatica di questa specie si rinviene nel territorio di Hong Kong, da cui prende anche il nome, e nelle province cinesi del Chekiang e Kwangtung ed è naturalmente tetraploide. In Giappone è noto come Mame o Hime Kinkan. Una forma diploide coltivata, di solito chiamata kumquat fagiolo d’oro, ha frutti leggermente più grandi, foglie più sottili e spine più corte. L’albero sviluppa scarsamente e ha lunghe spine anche sui rami fruttificanti, foglie piuttosto piccole, di forma ovale, con lamina di colore verde molto intenso, piccioli senza alette o appena accennate. La fioritura è abbondante e si differenza dagli altri kumquat, in quanto si inizia nella stagione primaverile. I frutti, non eduli e non particolarmente profumati, pesano 0,6-1,5 g e sono rotondi o leggermente ovali, con buccia sottile e liscia, di colore giallo-arancio molto intenso a maturazione. L’endocarpo, di colore aranciato, è composto da 4 segmenti scarsamente succosi. I semi, in numero di 3-4 per frutto, sono piuttosto piccoli, scarsamente poliembrionici, con cotiledoni ed embrioni di intenso colore verde. In Italia questo kumquat non è presente in impianti commerciali. Trova discreta utilizzazione nei vivai ornamentali per produrre piante di piccola taglia che emulano i tradizionali bonsai giapponesi. Un ibrido recentemente ottenuto da libera impollinazione appare piuttosto promettente per l’utilizzo ornamentale. Lo sviluppo e la morfologia della chioma sono simili a quelle della F. hindsii, mentre i frutti, più persistenti sull’albero, risultano di maggiore pezzatura, forma ovale e colore giallo brillante.

F. hindsii coltivata in vaso

Kumquat a frutto molto grande e rotondo o Changshou Questo kumquat, chiamato in Cina Changshou (F. obovata hort. ex Tan.) e in Giappone Fukushu, secondo Swingle è il prodotto dell’incrocio naturale tra due specie di kumquat, non bene identificate. L’albero, vigoroso e produttivo, ha portamento globoso, rami fitti con internodi ravvicinati e corte spine sui rami più vecchi, assenti sui rami fruttificanti. Le foglie, di forma ovale, sono più grandi rispetto a quelle degli altri kumquat, con margine crenato e apice arrotondato. Il picciolo è privo di alette. I frutti hanno forma tipicamente obovata e peso maggiore rispetto agli altri kumquat (25-35 g), con base e apice leggermente incavati. La buccia è piuttosto sottile, di colore giallo-arancio brillante. La polpa è scarsamente acidula e composta da 6-7 segmenti che contengono 5-6 semi. Questi sono di media dimensione, poliembrionici, con cotiledoni ed embrioni verdi. Nei vivai ornamentali è discretamente utilizzato e apprezzato. Coltivato in vaso, infatti, sviluppa una folta chioma e un’abbon-

Ibrido naturale di F. hindsii

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ricerca dante fruttificazione. La persistenza del frutto maturo sull’albero è tuttavia inferiore rispetto a quella del kumquat ovale. I frutti consumati allo stato fresco risultano più dolci di quelli del Nagami, per la scarsa quantità di oli essenziali della buccia e l’acidità della polpa. Inoltre, opportunamente sbucciati e privati dall’albedo, si prestano per la preparazione di squisite confetture.

Le bibite a base di chinotto

• Dal chinotto si ricava una tipica bevanda

analcolica italiana dal gusto dolceamaro, dissetante e gustosa, che contiene piccole percentuali di succo ed estratti aromatici di origine vegetale. L’origine di questa bibita è incerta: alcuni sostengono che sia stata inventata dalla ditta San Pellegrino, altri dalla ditta Neri di Capranica (VT), che la pubblicizzò e diffuse negli anni ’60 con uno slogan molto efficace. All’estero è consumata, prevalentemente, dalla comunità italiana. In Canada è commercializzata col marchio Brio, in Australia con quello Bisleri

Chinotto L’introduzione del chinotto (C. myrtifolia Raf.), come anche quella di altri agrumi, è attribuita ai navigatori liguri del Cinquecento. Anche se molti dati storici fanno riferimento all’introduzione nell’area mediterranea dalla Cina, secondo alcuni autori la specie dovrebbe essere individuata come arancio delle Indie orientali, in quanto molto simile al Suntara, frutto a cui si attribui­ scono proprietà terapeutiche. Secondo altri il chinotto potrebbe essersi originato come mutazione spontanea nell’area del Mediterraneo. Il Ferrari nel 1646 ne descrisse le caratteristiche in Hesperides e il Volkamer, 67 anni dopo, lo indicò come aranzo nanino da China in Hesperides Norimbergenses. Le foglie, molto piccole e di forma simile a quelle del mirto, ne hanno determinato la classificazione botanica. L’albero sviluppa scarsamente e si differenzia dagli altri agrumi anche per la particolare caratteristica dei rametti con internodi molto ravvicinati (da 2 a 5 mm).

Particolare della fruttificazione della F. obovata

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altri agrumi I fiori sono piccoli e bianchi con antere ricche di polline. Le foglie hanno forma ovata con apice appuntito e margine intero. La produzione è abbondante. I frutti possono essere singoli o riuniti in gruppi, particolarmente, nella parte apicale dei rametti, di piccola pezzatura (30-60 g), con apice stilare incavato e buccia di medio spessore, di colore arancio intenso, ricca di oli essenziali. In Liguria è stato coltivato tra il 1800 e il 1930. Nel 1877 la ditta francese Silvestre-Allemand si trasferì, infatti, a Savona per avviare il processo di trasformazione dei frutti, che erano stabilizzati in salamoia e rivenduti in Francia per essere canditi e utilizzati nella preparazione di dessert dal gusto dolceamaro. Le gelate che colpirono il territorio di Savona, dopo il 1930, determinarono il declino di questa coltura. Nel 2000, infatti, le statistiche ISTAT censivano soltanto 1 ettaro di chinotto coltivato in Italia. Dal 2004 il chinotto di Savona, prodotto sia lungo la costa sia nell’immediato entroterra tra Varazze e Finale Ligure (Savona), fa parte del presidio Slow Food, istituito per valorizzare i prodotti trasformati (bibite, marmellate, liquori e frutti canditi) secondo antiche ricette. In Sicilia, in questo ultimo decennio, sono stati effettuati investimenti produttivi per circa 10 ettari, sotto lo stimolo di una nota ditta nazionale che produce l’omonima bibita. Nell’ambito della collezione di germoplasma del CRA-ACM è anche presente una selezione, sempre a internodi corti, ma con foglie più larghe del tipico chinotto.

Il chinotto nel miglioramento genetico

• Il chinotto, per la particolare morfologia,

è utilizzato nel lavoro di miglioramento genetico per costituire ibridi con caratteristiche di pregio ornamentale. In particolare, ibridi ottenuti dagli incroci chinotto × cedro Mano di Buddha e limone Meyer × chinotto hanno evidenziato interessanti caratteristiche, anche a carico del colore dei fiori

Pianta adulta di chinotto Descrizione del chinotto nel testo del Volkamer

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gli agrumi

ricerca Agrumi ornamentali Francesco Sottile, Fabio De Pasquale

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).


ricerca Agrumi ornamentali Premessa L’uso degli agrumi come ornamento, nel mondo, ha una storia millenaria che si lega indissolubilmente con l’evoluzione e le migrazioni dei popoli, l’interesse dei mercanti che da Oriente si sono spostati verso Occidente, il culto della conoscenza botanica del genere Citrus presente in buona parte della fascia climatica tropicale e subtropicale. E con il termine “ornamento” non si intende esclusivamente il diletto che può derivare dalle piante, quanto il ruolo che i frutti singolarmente, le fronde fruttificanti, le fronde fiorite, i fiori in grappolo ovvero l’albero intero, sia in campo sia in vaso, giocano nel dare piacere ai sensi dell’essere umano. Dobbiamo certamente agli Arabi il primo evidente esempio di interesse in tal senso per la diffusione della specie e dei sistemi innovativi per la sua coltivazione nel Mediterraneo da cui è derivato un importante ruolo decorativo, di diletto per la vista e per l’olfatto. Essi riconobbero, soprattutto nei limoni e nei cedri, proprietà aggiuntive rispetto a quelle esclusivamente alimentari, riportando una serie di benefici di natura terapeutica e cosmetica che ne potevano derivare. Fino all’era della diffusione della cultura islamica, l’uso degli agrumi come pianta ornamentale non ha particolari riscontri. Virgilio, in Historia naturalis, parla del cedro come di una pianta simile all’alloro apprezzandone la tenacia dei rami, delle foglie persistenti e l’aroma dei fiori, come caratteristiche tutte importanti per una pianta da ornamento. Plinio, in modo più esplicito, dice che il ce-

L’Hesperidarium dei fratelli Tintori è un mirabile esempio di uso degli agrumi per scopi ornamentali finalizzati all’apprezzamento del visitatore. In lunghi periodi dell’anno è possibile attraversare archi di fruttificazione di limone Lunario o di Volkameriano, che dimostrano lo straordinario risultato che deriva dal connubio tra la plasticità della specie e la maestria del vivaista Fruttificazione di calamondino (Citrus mitis)

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agrumi ornamentali dro “…serve da ornamento delle case”; nelle successive opere di agricoltura dell’epoca romana, vengono forniti numerosi dettagli della propagazione e coltivazione di questa specie, anche in vaso, indicando i primi sistemi di protezione per la difesa delle piante dal freddo. La cultura islamica, invece, mostra un legame straordinario con gli agrumi, per il loro contributo all’estetica e all’ornamento, e ancora oggi chiari e magnifici esempi esistono in diverse aree del bacino del Mediterraneo: in Spagna, la moschea di Cordoba ma anche a Granada e a Siviglia; in Italia, tra tutti, il giardino islamico all’interno del Castello di Maredolce a Palermo (il Giardino della Fawarah). L’esaltazione del senso ornamentale che questa specie è in grado di assumere viene raggiunta in epoca rinascimentale quando, prioritariamente in Italia e con particolare evidenza in Toscana, culla del nostro Rinascimento, gli agrumi giocano un ruolo preminente nel percorso culturale che fa riferimento all’estetica. In questo contesto, peraltro, si sviluppa proprio l’arte della realizzazione di giardini per il diletto della nobiltà e gli agrumi sono sempre il baricentro intorno al quale ruotano tante altre specie ornamentali da fronda e da fiore. Per una maggiore varietà di forme e di colori, soprattutto nel periodo mediceo, iniziò peraltro anche una consistente attività di importazione di nuove varietà, spesso prive di interesse alimentare, che venivano trasportate dal continente asiatico in contenitore. La coltivazione in vaso assume pian piano connotati di tecnica agronomica raffinata: nelle regioni del Nord Italia, ma anche in tutta Europa, al di sopra di certe latitudini, gli agrumi evidenziano intolleranza alle basse temperature con problemi di sopravvivenza.Attraverso l’allevamento in contenitore, disponendo le piante in ambiente protetto, durante l’inverno, esse sopravvivevano e venivano esposte di nuovo in pien’aria al ritorno della bella stagione. Nascono in questo modo quelle che con il tempo diverranno le più conosciute Orangeries, che si diffondono in gran parte d’Europa con mirabili esempi in Francia dove pian piano arrivava l’esperienza medicea. l ruolo degli agrumi ornamentali non manca peraltro di esempi, anche in tempi più recenti, nell’alberatura urbana e nell’alberatura di giardini pubblici e privati. Lo stesso può dirsi per l’allestimento estetico di chiostri ed edifici religiosi, dove le piante di agrumi possono assumere anche il doppio ruolo di ornamento e alimentazione. Si ricorda per esempio l’arancio della Basilica di Santa Sabina in Roma che, oltre a essere un esemplare di rara bellezza, è circondato da un alone di mistero grazie alla leggenda che narra che a piantarlo sia stato san Domenico nel 1200. Il riferimento all’uso ornamentale degli agrumi come sistema vivaistico di natura commerciale è certamente storia più recente, che prende avvio in modo consistente sul finire del XX secolo. Questo

L’Hesperidarium

• È l’unico reale esempio italiano

di giardino di agrumi immaginato, progettato e realizzato per consentire una serie di attività ludiche, didattiche, o di semplice intrattenimento, legando il mondo degli agrumi, di quelli a uso ornamentale in particolare, al mondo del turismo

• Nasce in Toscana, terra di antiche

tradizioni per l’agrumicoltura ornamentale, nella provincia di Pisa, in cui si è consolidato un forte e radicato tessuto vivaistico. Ed è frutto dell’idea e della lungimiranza di un’intera famiglia, i Tintori, che poco meno di un decennio fa hanno iniziato a costruire un percorso che accompagnasse il turista attraverso alberi di agrumi caratterizzati da una grandissima variabilità di specie, di cultivar, di accessioni, di tipologie molto caratteristiche per finalità ornamentali. Il tutto immerso in un’azienda vivaistica che da diversi decenni è impegnata nella produzione di piante di agrumi in contenitore, esclusivamente per scopi ornamentali, con un’azione di accompagnamento per la gestione e la manutenzione delle piante e, in alcuni casi, per il ricovero invernale

• L’Hesperidarium è oggi una meta fissa

del turista attento che va oltre i percorsi consueti e cerca i legami tra il territorio e le sue tradizioni. Il fascino della visita nel periodo autunnale tra tante forme e colori dei frutti in prossimità della loro maturazione ha eguali solo nel periodo primaverile, quando si resta inebriati dai profumi delle abbondanti zagare

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ricerca specifico comparto vivaistico, infatti, a fronte di una disponibilità di ampi comprensori dell’area mediterranea, particolarmente vocati, si affaccia solo oggi nelle statistiche ufficiali mentre prima era solo menzionato in lavori puntuali. La pianta di agrume, infatti, nella sua più diversificata declinazione varietale, ha sempre mantenuto anche un ruolo ornamentale, sebbene le piante siano state sempre realizzate con obiettivi e metodologie decisamente diverse da quelle ornamentali. In questi contesti, alcuni vivaisti siciliani si ritrovavano spesso a soddisfare specifiche richieste con partite di piante in fitocella, che poco o nulla avevano di diverso rispetto a quelle prodotte per il pieno campo, da sottoporre a completa ricoltivazione una volta giunte a destinazione. Il tutto con esiti che dal punto di vista qualitativo sono sempre stati molto scadenti. Da quel momento in poi la storia del comparto è più recente e vicina ai giorni nostri. Lo sviluppo del comparto che ha condotto in circa un ventennio l’Italia, e la Sicilia in particolare, a consolidare una posizione di primato mondiale nella produzione di piante di agrumi ornamentali in vaso, nasce e si sviluppa a seguito di un periodo di crisi dell’agrumicoltura di pieno campo. Il graduale arresto degli impianti di agrumi a causa della forte crisi commerciale del settore determinò, nel giro di pochi anni, un sostanziale ingolfamento dei vivai che producevano piante in fitocella innestate (ordinariamente su semenzali di arancio amaro). I vivaisti dovettero interrompere le fasi iniziali della produzione e studiare soluzioni alternative, di breve periodo, per lo smaltimento delle piante invendute, e di lungo periodo, per il rinnovamento dell’attività attraverso un’adeguata rimodulazione delle infrastrutture e delle tecniche di produzione. Il vivaismo agrumicolo ornamentale oggi fa riferimento a una produzione nazionale di circa 5 milioni di piante prodotte in Toscana, Liguria, Puglia, Calabria e Sicilia (oltre il 90% in Sicilia) ed esportate nel Nord Europa. Nell’Isola, sono le province di Messina, Catania, Siracusa e Trapani quelle maggiormente coinvolte; il messinese (già noto per la produzione di piante di agrumi per il pieno campo) fa registrare oltre 280 ettari di superficie a vivaio, mantenendo spesso un’elevatissima polverizzazione aziendale. Oggi, almeno il 60% delle superfici vivaistiche è in ambiente protetto, ma sono solo poche le aziende che hanno un ciclo colturale completo, dalla propagazione alla commercializzazione. Moltissime aziende vivaistiche di piccole dimensioni, infatti, lavorano piante semi-finite che vengono poi completate da strutture più grandi prima della commercializzazione. In pochi anni le professionalità già presenti sul territorio si sono convertite alla nuova tipologia di produzione, rimodulando i parametri di riferimento della qualità del prodotto verso un vivaismo di carattere esclusivamente ornamentale che ancora oggi coinvolge molti giovani del territorio. Oggi il vivaismo agrumicolo ornamen-

La Sicilia e i due poli vivaistici

• La Sicilia, per posizione geografica

nella fascia subtropicale, gode di condizioni climatiche ideali per lo svolgimento dell’attività vivaistica, in particolare nelle aree costiere. Nell’ultimo ventennio, gli addetti al vivaismo, mostrando attenzione alle richieste dei mercati, hanno avviato una produzione ornamentale, prima in pien’aria, e successivamente ricorrendo ad apprestamenti protettivi con rete antigrandine e film plastico per i mesi freddi

• Oggi sono identificabili in Sicilia

due grandi comprensori con attività vivaistica ornamentale: Milazzo e comuni limitrofi (Me) e Marsala (Tp), che si diversificano per molteplici fattori produttivi e ambientali e pertanto si evidenziano diverse potenzialità produttive. Il polo di Milazzo, essendo antica la tradizione vivaistica, vanta la presenza nel territorio di manodopera altamente specializzata, mentre il polo produttivo della provincia di Trapani sembra avere prospettive di maggiore sviluppo non tanto per una maggiore ricettività delle imprese vivaistiche, quanto per una superiore disponibilità di spazi che, in questo settore, acquisiscono sempre maggiore interesse e valore, e per la presenza di un aeroporto

• Rimane, tuttavia, indiscussa la qualità

della produzione floricola (piante in vaso e fiore reciso) di entrambe le aree siciliane, che pone la Sicilia al top a livello internazionale

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agrumi ornamentali tale, tra continui avanzamenti scientifici e importanti innovazioni tecniche, è orientato al consolidamento di un’elevata competitività locale che si concretizza sempre più in una realtà industriale. La pianta “tipo” e la sua qualità Il vivaismo agrumicolo ornamentale è, come accennato, un sistema produttivo e imprenditoriale di buona rilevanza economica che evidenzia una continua evoluzione verso forme, colori e profumi in grado di innovare e accrescere l’interesse dell’utilizzatore finale. Uno degli aspetti evolutivi più importanti ha riguardato il raggiungimento di un elevato standard qualitativo e di una sostanziale flessibilità al confezionamento della produzione. La pianta “tipo” è coltivata in vaso rotondo di diametro variabile e allevata a globo in modo da metterne in evidenza il fusto dal quale si originano i diversi ordini di ramificazione. Un alberello di agrumi con finalità ornamentale, inoltre, deve essere condotto in modo da avere flussi vegetativi idonei all’ottenimento di chiome folte, che devono adeguatamente riempirsi di fiori. Tali obiettivi, in linea generale, sono raggiunti attraverso una serie di ripetute potature realizzate in diversi momenti dell’anno; si riesce in questo modo a ottenere una chioma di qualità in un tempo economicamente ragionevole. Raggiunto un buon grado di maturità, rilevabile dall’equilibrato rapporto tra la chioma e l’apparato radicale, viene indotta la fioritura attraverso una serie di interventi, durante la stagione più fredda, con potature blande e nutrizione minerale adeguata; qualora occorra, le suddette tecniche colturali sono precedute da interventi con fitoregolatori. Dopo il risveglio vegetativo sarà apprezzabile la fioritura e, dopo la cascola fisiologica dei frutti, può avviarsi il finissaggio della pianta lasciando crescere liberamente i rami in modo da evidenziare il portamento assurgente della specie con la fruttificazione ubicata sui rami principali. La pianta ornamentale di agrumi, inoltre, per essere leggera e facilmente trasportabile, è allevata con miscele di substrati con il miglior compromesso tra leggerezza e capacità di ritenzione di elementi minerali e acqua. Tutti questi elementi rappresentano i pochi ma precisi interventi colturali che condensano il miglior sistema per l’ottenimento di una pianta di qualità, dalla quale oggi non si può prescindere per garantirsi l’accesso a mercati esteri, di grande interesse ma anche particolarmente esigenti. Molte di queste specifiche condizioni hanno valore anche per la produzione di piante destinate all’arredo urbano di viali, che oggi rappresentano inoltre parte dell’innovazione nel comparto agrumicolo per scopi ornamentali. La certificazione genetico-sanitaria, con l’indicazione di tutti i requisiti che, a norma di legge, sono contenuti nel passaporto, completa la qualità intrinseca della pianta di agrume ornamentale tale

Pianta di Fortunella margarita in ciotola. Questa tipologia di vaso non rientra più nelle grandi produzioni vivaistiche per l’alto costo di produzione e di trasporto

Spalliera di calamondino a inizio fioritura con una folta vegetazione in vaso Ø 14. Questa tipologia di piante è molto richiesta in quanto, se di ottima qualità, incontra un grande apprezzamento e bassi costi di produzione e di trasporto

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ricerca da non essere vettore di virus e virus-simili, ed esplicita ogni riferimento utile a poter seguire la tracciabilità della filiera produttiva. La produzione e le tecniche La pianta in vaso di agrume ornamentale è prodotta in vivaio autorizzato e strutturato nel rispetto delle norme vigenti dell’Unione Europea; esse, più specificamente, riguardano le piante destinate al trasferimento in pieno campo ma non escludono quelle prodotte per altre finalità o destinazioni comprendendo, quindi, anche quelle per uso ornamentale. La necessità di disporre di materiale di propagazione sano, ovvero che rispetti la citata normativa, ha spesso indotto, se non obbligato, i vivaisti, in forma singola o associata, a mantenere un adeguato numero di piante madri. Germinatoi, bancali di radicazione con letto riscaldato e impianto di nebulizzazione per mist propagation, serre di acclimatazione, ombrai, invasatrici, oltre alle strutture e alle attrezzature per il confezionamento e la movimentazione, rappresentano la dotazione ordinaria di un vivaio impegnato nella produzione industriale di piante di agrumi in vaso per uso ornamentale. Originariamente, la tecnica di produzione di piante di agrumi destinate alla commercializzazione florovivaistica partiva dalla produzione del semenzale, prioritariamente di arancio amaro (Citrus aurantium L.), adesso interamente sostituito dal limone Volkameriano (Citrus volkameriana Ten. & Pasq.) e dal Citrus macrophylla West.; dopo l’attesa di almeno una stagione di crescita, si procedeva all’innesto a marza. Tale sistema produttivo è oggi considerato poco sostenibile dal punto di vista economico, anche se risulta ancora largamente in uso nelle strutture vivaistiche di piccola dimensione, in cui il lavoro di campo è affidato a una conduzione familiare e il cui prodotto è una pianta da ricoltivare. Le imprese vivaistiche che propendono verso l’industrializzazione dell’attività produttiva riconoscono l’importanza di produrre stock di piante di buona qualità e uniformi e tendono quindi a convertire il ciclo produttivo tradizionale “seme - semenzale - innesto” escludendo il seme e riducendo la variabilità ad esso attribuibile. Pertanto, con specifico riferimento alle tecniche di propagazione, è opportuno suddividere i genotipi in coltivazione in due grandi gruppi, ovvero quelli con elevata predisposizione alla moltiplicazione per talea e quelli che, al contrario, evidenziano una capacità di rizogenesi scarsa o nulla. In virtù di questa distinzione, il materiale vegetale (talee e marze) proveniente dalle piante madri viene propagato agamicamente applicando la tecnica di mist propagation. Attraverso tale sistema è possibile ottenere barbatelle franche di piede, da avviare direttamente alla filiera produttiva in vaso di tutti i genotipi che presentano un’elevata capacità rizogena (Citrus limon, Citrus mitis o madurensis, Citrus medica).

Conca aperta multivarietale. Tipico esemplare di grande pregio, di produzione non ordinaria ma di grande fascino soprattutto per la presenza nello stesso vaso di più specie fruttificanti

Semenzale di Citrus volkameriana pronto per il trapianto dal semenzaio al vaso Ø 12 nel quale la pianta verrà innestata

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agrumi ornamentali Sempre attraverso la tecnica della mist propagation si può procedere alla produzione di piante bimembri dei genotipi con scarsa o nulla capacità rizogena partendo da innesti-talea. Tale tecnica, oggi sempre più diffusa nelle strutture vivaistiche opportunamente attrezzate, consiste nel prelevamento contestuale di talee e marze dalle piante madri; l’innesto viene eseguito a tavolo in ambiente condizionato in modo da ottenere, preliminarmente, un complesso di due bionti senza alcuna radice che, solo immediatamente dopo l’innesto, viene disposto in ambiente di radicazione. Più frequentemente il portinnesto appartiene a Citrus volkameriana che viene innestato con marze di Citrus aurantium, C. sinensis, C. deliciosa, ovvero di Fortunella spp. Questa tecnica consente di produrre piante bimembri perfettamente uniformi e in tempi notevolmente ridotti rispetto alla tecnica tradizionale “seme - semenzale - innesto”. In relazione alla stagionalità delle operazioni, nel caso di genotipi caratterizzati da ottima predisposizione alla rizogenesi, le condizioni climatiche di luglio sono ottimali per effettuare il prelievo del materiale vegetale e ottenere le talee con 2-3 foglie. Per la produzione di innesti-talea, invece, il momento ottimale per avviare la radicazione è il periodo primaverile (aprile-maggio), quando il portinnesto risulta in succhio e, quindi, in piena attività vegetativa. Il risultato della radicazione di talee e di innesti-talee può considerarsi ottimale quando il rendimento supera il 90% con densità di 400-500 talee/m2, con un elevato numero di radici per talea (oltre 7-8) e una buona ripresa vegetativa già in bancale. Il suddetto risultato dipende dal controllo dell’UR (80-90%) del microambiente nel quale si effettua la lavorazione del materiale vegetale, dal substrato di radicazione (ottimale è una miscela di torba e agriperlite al 50%), dalla temperatura basale del bancale non inferiore a 20 °C, dal trattamento rizogeno della base della talea (prodotti a base di NAA), dal controllo continuo dell’UR dell’atmosfera del bancale che, in eccesso o in difetto, può determinare rispettivamente un rallentamento della radicazione o una dannosa filloptosi. In questo caso, il ciclo di produzione della pianta di agrumi ornamentali con frutti può ridursi fino a 18-24 mesi, tenendo conto che la presenza di frutti sia pure di piccola dimensione conferisce alla pianta un discreto apprezzamento. In tal modo, peraltro, è più facile produrre stock di piante uniformi e, grazie al breve ciclo produttivo, la produzione può adattarsi meglio ai mutamenti delle richieste di mercato. Nella tradizionale tecnica di produzione delle piante bimembri, per la produzione dei portinnesti i semi vengono posti a germinare su bancale già dalla fine di dicembre, sotto apprestamenti protettivi. Le plantule vengono quindi trapiantate in fitocella quando hanno uno sviluppo di 10-15 cm e proseguiranno nel primo anno di sviluppo fino a raggiungere un calibro minimo per poter essere in-

Particolare di fruttificazione di Citrus volkameriana. Nel moderno vivaismo questa è una specie a duplice attitudine: a) pianta porta seme per la produzione di semenzali da destinare al ciclo produttivo “seme - semenzale - innesto”; b) pianta per la produzione di talee da desinare al ciclo produttivo “innesto-talea”

Talee di Citrus limon cv Lunario in panetto di torba, pronte per essere disposte in bancale di radicazione dotato di mistpropagation. Ordinariamente, alle talee viene effettuato un trattamento basale con prodotti a base di NAA

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ricerca nestate a marza a circa 15-18 mesi dalla germinazione. La pianta innestata, spesso allevata in fitocella o in vaso di polietilene rigido nero, dovrà essere gestita in vivaio per almeno altri 24-36 mesi dall’innesto prima di poterla avviare alla commercializzazione. La pianta di agrume ornamentale, comunque prodotta, subisce il primo taglio, per determinare l’altezza dell’imbrancatura, nel vaso definitivo, che in qualche caso viene sostituito con il vaso nuovo di uguale diametro al momento della commercializzazione. La scelta del diametro del vaso è un momento importante perché correlato all’altezza dell’imbrancatura e al diametro della chioma, nonché ai rapporti diretti con il committente che ne precisa sempre la dimensione. La tecnica di coltivazione della pianta, nel vaso del diametro di 20, 18 o 15 cm e su adeguato substrato, prevede la libera vegetazione per i primi 6-8 mesi; quando l’apparato radicale è sufficientemente sviluppato e in equilibrio con la chioma viene effettuato il primo intervento di drastica potatura; la vegetazione che ne deriva sarà caratterizzata da rami a internodi raccorciati e da rami con sviluppo standard. Attraverso le successive potature, ripetute con continuità, i secondi saranno opportunamente contenuti mentre dalle gemme ascellari dei primi si avrà produzione di fiori e di frutti. Ultimata la cascola fisiologica dei frutti si inizia il finissaggio della pianta con interventi di potatura mirati a creare una pianta di qualità. Il vaso, oggi esclusivamente di polietilene rigido con prevalenza di colore tipo coccio, può essere di dimensioni variabili e la sua capacità dipende, come è ovvio, dalla dimensione finale della pianta che si intende produrre. In linea generale, la chioma della pianta prodotta e l’altezza complessiva della stessa devono essere, rispetto al vaso che la contiene, approssimativamente il doppio del diametro e poco più del doppio dell’altezza; senza facili generalizzazioni, questo tipo di proporzioni rappresenta un giusto equilibrio tra la qualità della pianta prodotta e la capacità del vaso di contenerla e, con gli adeguati apporti idrico-minerali, di sostenerla dal punto di vista nutritivo. La moderna tecnica vivaistica tende a ridurre al minimo i travasi e molto spesso le piante, dopo le operazioni di propagazione, vengono trasferite direttamente nel vaso finale. Negli ultimi anni si sta consolidando anche la produzione di piante in vaso di dimensioni inferiori rispetto al classico Ø 20: se viene usato il vaso Ø 15 rispetto a quello Ø 20 la densità di piante per metro quadrato di vivaio può raddoppiare e l’efficienza nella fase di confezionamento e trasporto può triplicare. Un approccio tecnico differente riguarda le piante in conca e in vasca; sono esemplari di grandi dimensioni, per la cui preparazione sono necessari diversi anni di coltivazione oltre a cure e attenzioni specifiche. Altra tipologia di produzione, infine, è quella relativa alle piante di agrumi da viale, che sono allevate in conte-

Innesto talea di calamondino su Citrus macrophylla pronto per essere posto in radicazione. Le foglie sono presenti nei due bionti anche se è stata ridotta la loro superficie

Innesto talea di Fortunella margarita su Citrus volkameriana caratterizzato da talea lunga per ottenere un alberello con un fusto ben evidente

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agrumi ornamentali nitore e caratterizzate da un fusto molto alto per via di un’imbrancatura a 1,80 m dal colletto. La tecnica di produzione di questa tipologia di piante è riferibile alla linea tradizionale “seme - semenzale - innesto”; è importante allevare in contenitore e con tutore il semenzale del portinnesto per tre o più anni fino all’altezza di 2,00 m dal colletto. Nella primavera successiva al raggiungimento di tale sviluppo si esegue l’innesto con la specie e/o la cultivar prescelta, a seguito del quale la pianta riceverà le stesse cure di quelle di produzione ordinaria. La nutrizione idrico-minerale Eventuali squilibri nutritivi possono danneggiare, anche irrimediabilmente, la pianta di agrumi ornamentale. In tal caso, infatti, sono rare le opportunità di recupero, soprattutto quando l’evidenza del danno comporta manifestazioni a carico della chioma. In tale evenienza, le piante potranno essere recuperate solo attraverso ricoltivazione con una potatura drastica e ripetendo tutte le tecniche descritte. La gestione della nutrizione minerale della pianta di agrumi in vaso è strettamente connessa con la tipologia di substrato di coltivazione e con l’acqua utilizzata per l’irrigazione. Il substrato commerciale per la sua specifica composizione può essere sfruttato in maniera ottimale nei primi 10-12 mesi prima che si renda evidente un suo decadimento. Il ciclo biologico degli agrumi risente, quindi, negativamente del fenomeno “mineralizzazione” a carico del substrato; per tale ragione, si è diffuso l’uso di rinnovare parte del substrato di coltivazione sostituendo e integrando una parte del pane di terra; è tuttavia indispensabile un buon impianto di fertirrigazione altamente informatizzato, in grado di trasmettere in tempo reale dati di umidità e conducibilità del substrato e, se necessario, dare un segnale per l’intervento di modulazione. Per quanto attiene alla tipologia di substrato, le miscele ottimali presentano un equilibrato rapporto C/N e un’adeguata capacità di ritenzione idrica, caratteristiche indispensabili per una corretta gestione in vivaio, sia della nutrizione minerale sia di quella idrica. La qualità dell’acqua aziendale dovrà essere nota e periodicamente monitorata, in quanto assume rilevanza nella composizione delle soluzioni nutritive standard per le diverse fasi fenologiche. Lo stesso dicasi per la composizione chimica dell’acqua, per le inevitabili relazioni tra essa e l’apporto dei sali e dell’acido nitrico per l’ottenimento delle soluzioni nutritive. Le piante di agrumi, infatti, si caratterizzano per una fortissima suscettibilità alla salinità della soluzione nutritiva; a prescindere dal diverso rapporto tra gli elementi minerali, i valori ottimali di conducibilità delle soluzioni nutritive dovrebbero oscillare tra 1500 e 1800 µmhos/cm. Quando la conducibilità elettrica (EC, Electric Conductivity) dell’acqua supera il valore di 500-600 µmhos/cm è opportuno intervenire con

Piante da viale di arancio amaro “Foglia di salice” e di calamondino. Le diverse varianti di Citrus aurantium e altre specie trovano largo uso nella produzione di piante da viale, usate tal quali o trapiantate in pieno campo nell’allestimento di ville e giardini

Chioma equilibrata di calamondino che evidenzia una netta differenziazione tra la parte in accrescimento vegetativo e la fruttificazione

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ricerca un adeguato trattamento di osmosi inversa o similare, per eliminare gli elementi dannosi o in eccesso, riuscendo peraltro a utilizzare l’acqua con tale conducibilità, così com’è o acidulata, tutte le volte che la conducibilità del substrato dovesse superare i 18002000 µmhos/cm. Per tutte queste evidenze, in una corretta attività vivaistica l’EC della soluzione nutritiva in corso di utilizzazione viene monitorata in tempo reale e continuativamente da un buon impianto di fertirrigazione collegato a un adeguato software. Nella coltivazione delle piante di agrumi in vaso per finalità ornamentali è assolutamente indispensabile operare nel rispetto delle due fasi fisiologiche più importanti, quella vegetativa e quella riproduttiva, il cui andamento è in grado di modificare sensibilmente la qualità finale della pianta. In tale corrispondenza, sono stati elaborati, con l’esperienza di vivaio e il supporto della ricerca scientifica, diversi protocolli in relazione alle esigenze specifiche. Tali protocolli sono oggi abbastanza generalizzabili per tutto il genere Citrus, che non evidenzia grande variabilità in termini di esigenze e consumi. Un po’ diverso è l’approccio al genere Fortunella. Per favorire l’induzione a fiore delle gemme vengono spesso proposte, ancorché in via sperimentale, sostanze ormonali ad azione brachizzante; esse, tuttavia, oltre a non essere sempre efficaci e ad avere un’azione non sempre univoca, negli agrumi hanno un lento effetto, che perdura nel tempo e che spesso influenza negativamente la fase vegetativa essenziale nel finissaggio della pianta, compromettendo anche un congruo ingrossamento del frutto. La fertirrigazione oggi viene effettuata quasi esclusivamente con sistemi localizzati, vaso per vaso; il numero e la durata degli interventi variano certamente a seconda del volume del vaso, delle condizioni ambientali, del substrato nonché dello stadio fenologico della pianta. È ormai sempre più frequente l’ausilio di sistemi informatizzati in grado di gestire intere serre di coltivazione con specifiche programmazioni che tengano conto delle particolari condizioni ed esigenze del materiale vegetale, in modo da poter opportunamente differenziare le cure colturali.

Fruttificazione di limone “Zagara bianca”

Gli ambienti Se è vero che la produzione vivaistica di agrumi, nelle aree rivierasche dei Paesi del Mediterraneo della fascia subtropicale, può essere gestita anche in pien’aria, nel caso specifico degli agrumi ornamentali, trattandosi di produzioni di alto pregio in cui uniformità della chioma e assenza di evidenti difetti estetici sono parametri di qualità finale, i vivai specializzati effettuano il ciclo produttivo sotto coperture di diverso tipo. Fermo restando l’obiettivo di protezione fisica delle piante, adottando specifiche coperture è possibile governare meglio la stagione fredda, ancorché senza riscaldamento artificiale, in modo da consentire una migliore gestione dell’accrescimento delle piante e della successiva fase di germogliamento e fioritura.

Piante autoradicate dopo 20 giorni dal trasferimento in serra di acclimatazione

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agrumi ornamentali Gli apprestamenti protettivi di maggiore diffusione fanno capo a due diverse tipologie: rete antigrandine fissa e film plastico per la stagione più fredda, parzialmente rimovibile meccanicamente o manualmente. Altrettanto importante è il suolo su cui poggiano i vasi all’interno della serra; senza opportuni accorgimenti, infatti, esso può essere fonte di trasmissione di malattie a carico dell’apparato radicale. Per tale ragione, il piano di terra su cui poggiano i vasi viene isolato: il terreno agrario, dopo essere stato livellato imponendo una leggera pendenza ben distribuita, viene coperto da teli di plastica con i lembi sovrapposti e al di sopra viene disposto un telo di tipo tessuto-non tessuto e, infine, 5-8 cm di pietrisco di media granulometria sul quale poggiano i vasi. Va detto, infine, che alcune aziende estremamente specializzate hanno già optato per impianti vivaistici su battuto di cemento che, per quanto di bassa sostenibilità ambientale, rappresentano un’innovazione per una gestione più accurata senza alcun condizionamento pedologico e sanitario.

Frutto di Citrus aurantium “Foetifera”, un arancio amaro caratterizzato da alterazione nella morfologia del frutto

I genotipi, le forme e i colori L’agrumicoltura ornamentale è legata a diverse specie del genere Citrus e Fortunella, con diverse cultivar e accessioni, che forniscono buona parte del patrimonio genetico che oggi risulta maggiormente utilizzato nel comparto. La maggior parte delle piante complessivamente prodotte in questo settore appartiene al genere Citrus e in particolare alla specie

Fruttificazione di limone Lunario. Questa cultivar, certamente la più diffusa in quanto molto apprezzata dal consumatore, presenta caratteristiche di alta efficienza nella produzione in vivaio e nella successiva commercializzazione

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ricerca limon; di esso la cultivar più rappresentata è la Lunario. La sua specifica rifiorenza, la forma del frutto allungata, l’elevata forza di resistenza al distacco che conferisce al frutto una sostanziale persistenza sulla pianta, la colorazione verde intenso della chioma sono tutte caratteristiche che hanno contribuito ad accrescerne la diffusione e l’apprezzamento da parte del consumatore. Sono diverse le accessioni e cultivar utilizzate dai vivaisti per la produzione di piante con peculiari attrattività. Domina evidentemente l’appariscenza del frutto, per forma, colore o anomalie morfologiche che creano curiosità e, conseguentemente, richiesta commerciale. È il caso del Citrus medica var. Sarcodactylis, comunemente denominato “Mano di Buddha” che attrae sempre un vasto pubblico di consumatori per le peculiari forme del frutto, anche se manifesta carenze nella qualità della chioma e specifiche sensibilità entomologiche. Non mancano le molteplici forme, colori e morfologie fogliari nell’ambito della grande famiglia dell’arancio amaro, dei limoni, del bergamotto, del chinotto, delle lime, dell’arancio dolce, del mandarino, dei limoni cedrati ecc. che sono sempre presenti, sia pure in quantità e disponibilità più limitate, nelle grandi forniture dei vivai a gestione industriale. Anche il calamondino (Citrus mitis) è una specie considerata interessante, sebbene oggi la produzione sia limitata a piante di ridotte dimensioni e in vaso piccolo (Ø 14-15). Rilevante è la quota di produzione riservata alle specie del genere Fortunella; i kumquat, come spesso vengono accomunati, sono particolarmente apprezzati per l’abbondanza della fioritura e della fruttificazione, ben equilibrata e persistente. Tra essi abbastanza diffusi sono F. hindsii, F. obovata e F. margarita, che si dividono equamente la parte di produzione ad essi riservata. La specie hindsii è apprezzata per la precocità della maturazione dei piccoli frutti, mentre la specie margarita, la più diffusa, è nota per le abbondanti e caratteristiche fruttificazioni primaverili. Molto diffuso è anche l’uso di Citrus aurantium, soprattutto con accessioni che presentano forme e colorazioni di frutto, morfologia fogliare o comportamento vegetativo sostanzialmente diversi da quello standard. L’arancio amaro, peraltro, spesso con piante propagate per seme, è stato molto utilizzato nelle alberature stradali e negli ornamenti di viali e di ville soprattutto per via delle intense colorazioni della vegetazione e dei frutti e in considerazione anche della forte resistenza al distacco peduncolare che rende la fruttificazione molto persistente. Lo sviluppo, come accennato, della produzione di piante da viale ha reso disponibile, anche per tali finalità, una serie di genotipi che fanno riferimento sia al genere Citrus sia al genere Fortunella, che hanno molto diversificato la gamma di piante oggi in commercializzazione. Con il crescere dell’importanza del settore, alcune istituzioni di ricerca nazionali hanno attivato progetti di miglioramento geneti-

Le anomalie morfologiche dei frutti sono tra le principali attrattività per il consumatore, anche se spesso non corrispondono a un’elevata qualità e durata dell’intera pianta. È il caso del “Mano di Buddha”, una tipologia di cedro che suscita grande curiosità e apprezzamento

Fruttificazioni di Fortunella margarita, specie di grande interesse per la sua plasticità di adattamento nella produzione di piante in vaso, con fruttificazione abbondante a febbraio o a maggio

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agrumi ornamentali co finalizzati a diversificare la forma del frutto, la morfologia della pianta, i colori e il profumo. Alcuni di essi sono entrati a far parte delle ordinarie produzioni vivaistiche, sia pure limitatamente, come per esempio il Limone Rosso ISA e l’ibrido Reale (clementine Monreal x F. hindsii) derivati da attività di ricerca del CRA-ACM di Acireale. Sono attualmente in valutazione, invece, alcuni ibridi che derivano prevalentemente da incroci interspecifici, in certi casi anche a ploidia diversa, quasi tutti derivati dal limone e che in fase preliminare hanno manifestato interessanti caratteristiche migliorative rispetto al più diffuso Lunario. Per quanto concerne il portinnesto, quando ritenuto indispensabile in alternativa alla produzione di piante franche di piede, la scelta più diffusa ricade sul C. volkameriana o su Alemow (C. macrophylla); in casi più limitati trovano uso anche i citrange. Le piante di agrumi per uso ornamentale si prestano a una molteplice varietà di forme di allevamento: non vi è dubbio che la forma più diffusa è quella ad alberello con la chioma a globo, con un volume variabile in funzione dell’altezza del fusto e della dimensione del vaso. Le piante così allevate sono quelle che vengono prodotte in maggiore quantità e in linea industriale ad alta specializzazione e che, contestualmente, trovano larga diffusione nei mercati del Nord Europa e in diversi Paesi extracomunitari. Esiste poi una vastissima gamma di forme: le piramidi, le conche di grandi dimensioni, aperte o chiuse, spesso costituite da genotipi appartenenti a specie diverse, e le spalliere di varia dimensione con una o più piante. Tutte queste forme possono avere altezza variabile ma non superiore a 2 m, limite posto dai sistemi di trasporto or-

Attività di ricerca scientifica e produzione vivaistica

• I rapporti tra comunità scientifica

e vivaismo agrumicolo ornamentale sono stati alla base della crescita del settore; le istituzioni scientifiche (CNR, CRA, università) hanno seguito con interesse l’evoluzione del settore attivando linee di ricerca specifiche che hanno migliorato le tecniche di coltivazione e di propagazione, nonché di gestione delle piante, l’ampliamento del quadro varietale e l’individuazione dei punti di forza e di debolezza del comparto: qualità, costi, tecnologie e strategie commerciali

• Attraverso progetti di miglioramento

genetico si sono resi disponibili diversi genotipi di nuova costituzione e sono state riconsiderate le antiche collezioni allo scopo di selezionare ecotipi con caratteristiche di particolare attrattività

• L’approfondimento tecnico sui sistemi di propagazione e sulla nutrizione minerale e la messa a punto di nuove biotecnologie per il risanamento da virus e viroidi hanno contribuito a migliorare l’uniformità e la qualità della produzione

• La ricerca in atto in Sicilia cerca

di dare ai vivaisti nuovi strumenti per la risoluzione delle problematiche connesse al controllo del virus della tristeza. Crescono inoltre sistemi di ricerca pubblico-privato dai quali ci si attendono risultati utili per incentivare la crescita della produzione industriale di agrumi ornamentali, con un incremento annuale stimato in Italia che sfiora il 20%

Fruttificazione di Citrus grandis “Pyriformis”

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ricerca dinario. Va da sé che queste particolari tipologie rappresentano una piccolissima parte della produzione delle piante ornamentali di agrumi. In alcuni casi, soprattutto nel Nord Italia, piante di tale forgia e pregio adornano i giardini delle ville private per poi essere nuovamente ricoverate presso i vivai durante la stagione fredda, quando in pien’aria potrebbero essere danneggiate dalle basse temperature. Considerazioni conclusive La floricoltura è una branca dell’agricoltura intensiva che si distingue per cicli di produzione più brevi di altre colture protette; essendo caratterizzata da investimenti notevoli, è tra le poche attività agricole che si prestano a essere condotte con modelli industriali. Il complesso mondo del vivaismo ornamentale legato alle piante di agrumi si avvia sempre più verso un sistema di produzione industriale di consolidata tecnologia. Le numerose aziende, singole o associate, che hanno contribuito alla crescita e allo sviluppo di un settore economico di tale importanza sono oggi proiettate verso nuovi mercati anche molto lontani dalle zone di produzione, ma molto recettivi. La logistica dei trasporti è sempre in fase evolutiva anche in termini di miglioramento dell’efficienza delle rispettive combinazioni; è auspicabile, peraltro, che anche nel settore florovivaistico si registri un deciso orientamento a favore di trasporti più sostenibili dal punto di vista ambientale ed economico. Il contemporaneo adeguamento della logistica della commercializzazione e l’impegno verso la massimizzazione della qualità e l’omogeneità del prodotto, non disgiunta dal contenimento del

Piante di limone in vaso Ø 20 già disposte su carrello e pronte per la commercializzazione Citrus aurantium “Crispifolia”. Alcune stabili alterazioni nella morfologia fogliare hanno reso interessanti alcuni genotipi che suscitano un discreto apprezzamento al consumo

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agrumi ornamentali costo unitario del prodotto, sono tutti fattori che contribuiscono sensibilmente all’industrializzazione dell’attività produttiva. È auspicabile che i risultati dell’attività di ricerca in corso e il miglioramento dei trasporti siano sufficienti a industrializzare, sempre più, l’attività produttiva degli agrumi ornamentali. Per raggiungere tale obiettivo, un contributo sostanziale è stato offerto dalle moderne tecniche di propagazione per talea e innesto-talea che, oltre a permettere una maggiore uniformità del prodotto, riduce sensibilmente i tempi di produzione e di conseguenza la permanenza in vivaio. Esse, ampiamente descritte, sono oggetto di collaudo da parte di vivaisti pionieri in un’attività sperimentale di sviluppo pre-competitivo che coinvolge vivaisti ed enti di ricerca in univocità di intenti e obiettivi. In tale contesto, come in diversi altri, infatti, il miglioramento del settore nasce e si sviluppa sulla continua convergenza di intenti tra imprese e ricercatori impegnati nel settore. L’affinamento delle tecniche di propagazione, ma anche gli aspetti di nutrizione idrica e minerale spesso correlati ai singoli genotipi o alle singole combinazioni di innesto, unitamente a tutto ciò che è relativo alla scelta del substrato e al dimensionamento del contenitore, sono tutti aspetti che sviluppano esigenze di approfondimenti che possono essere rapidi se perseguiti con l’apporto di tutte le componenti impegnate nel settore. Va comunque ribadito che le tecniche di produzione e di gestione descritte nei paragrafi precedenti sono riconducibili ad ambienti costieri mediterranei, a clima tropicale o subtropicale, e pertanto non sempre generalizzabili in altre aree, ancorché idonee all’agrumicoltura.

Piante di calamondino in vaso Ø 14 già disposte su carrello e pronte per la commercializzazione

Fruttificazione di Citrus bergamia “Castagnaro”

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gli agrumi

ricerca Portinnesti Eugenio Tribulato

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - DreamsTime: p. 145 (in basso). Fotolia: pp. 96 97 - 98 - 99 - 100 - 101 - 102 - 103 - 104 - 105 - 106 - 107 - 110 - 116 (in basso, a sinistra) - 126 - 127 - 310 (in alto) - 316 (in basso) - 318 - 320 - 330 - 452 - 453 - 465 (in alto) 466 - 524 (in alto) - 548 - 549 - 551 - 554 - 555 558 - 559 - 561. IstockPhoto: pp. 144 (in alto) - 145 (in alto).


ricerca Portinnesti Come per le altre colture arboree da frutto, il successo dell’agrumeto dipende molto dalla combinazione portinnesto-varietà; la scelta sbagliata di uno dei due comporta un danno economico all’azienda. L’esperienza insegna che occorrono diversi anni per verificare se sono state fatte scelte giuste, tenendo conto anche della natura dell’ambiente: terreno e clima. Il primo aspetto da considerare è l’affinità tra i due individui che vengono “accoppiati”. Con affinità si intende un’unione efficiente e duratura. Negli agrumi sono pochi i casi di disaffinità dal punto di vista anatomico, mentre molto più grave è la reazione (o meglio suscettibilità) della combinazione di innesto agli attacchi di patogeni, in particolare il virus della tristeza (CTV, Citrus Tristeza Virus). I portinnesti finora disponibili per gli agrumi hanno seri limiti di adattamento alle condizioni non favorevoli sotto i profili bioagronomico e fitosanitario. Non esiste, pertanto, un portinnesto universale. Ovviamente, in terreni con buone caratteristiche fisiche e chimiche tutti i portinnesti svolgono bene il loro lavoro; i risultati cambiano quando l’ambiente presenta fattori limitanti: calcare, salinità, elevata umidità ecc. Pertanto, una conoscenza approfondita del profilo del portinnesto da scegliere e l’esperienza acquisita nello specifico ambiente sono determinanti per il risultato economico dell’agrumeto.

Caratteristiche richieste al portinnesto

• Poliembrionia • Affinità d’innesto • Produzione del nesto elevata e di qualità buona

• Precocità di messa a frutto • Tolleranza al CTV • Tolleranza ai sali • Tolleranza al calcare • Tolleranza al marciume radicale e alla gommosi del colletto

Arancio Tarocco su arancio amaro. Diametro del tronco: 40 cm

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portinnesti La propagazione dei portinnesti degli agrumi avviene quasi sempre per seme che, essendo poliembrionico, assicura la massima uniformità dei semenzali e, quindi, delle piante innestate. Nel passato Fino alla prima metà del XIX secolo le piante di arancio dolce erano ottenute direttamente dai semi, franche di piede (dette un tempo piante di ariddu), che per la poliembrionia riproducevano i caratteri della pianta madre. L’arancio dolce era utilizzato anche come portinnesto di altre specie agrumicole. Il suo abbandono è stato determinato dalla sua suscettibilità al marciume radicale e alla gommosi del colletto da Phytophthorae. Man mano che gli agrumi venivano coltivati anche in terreni meno ricchi di sabbia, con maggiore percentuale di limo e argilla, la moria delle piante su arancio dolce aumentava sensibilmente. Lo stesso fenomeno avveniva nei limoneti poiché le piante venivano propagate sia per seme sia per talea di limone. L’arancio amaro o melangolo (Citrus aurantium), noto da tempo immemorabile nel bacino del Mediterraneo, costituì l’alternativa all’arancio dolce per la sua tolleranza al marciume radicale. Pertanto questa specie divenne il portinnesto più impiegato nel mondo, mentre prima era apprezzato per la marmellata ottenuta con i suoi frutti e per le alberate delle città secondo una tradizione araba. È un portinnesto che possiede numerosi aspetti positivi, capace di

Arancio amaro da Risso e Poiteau

Arancio amaro

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ricerca tollerare condizioni di terreno non favorevoli come calcare, salinità, umidità elevata; inoltre conferisce al nesto una produttività quantitativamente e qualitativamente di buon livello. L’arancio amaro è stato considerato il migliore portinnesto degli agrumi prima della diffusione del CTV; la sua suscettibilità a questo virus ha costretto il mondo agrumicolo al suo abbandono. In combinazione con arancio dolce, pompelmo e mandarino-simili è soggetto alla virosi; si salva solo quando è innestato con il limone. Nel presente I successori dell’arancio amaro sono diversi soggetti, dei quali i più diffusi nell’area mediterranea risultano i citrange ibridi tra arancio dolce e poncirus (Citrus sinensis × Poncirus trifoliata); i più noti sono il Troyer e il Carrizo, costituiti nel 1909 in California con l’obiettivo di ottenere piante di arancio più resistenti alle basse temperature. Mentre i loro frutti non sono idonei al consumo, ottengono grande diffusione per la loro tolleranza alla tristeza. Prima della diffusione del CTV i citrange erano utilizzati nei reimpianti, in successione all’arancio amaro, al fine di superare la sindrome della stanchezza del terreno che si instaura quando non si sostituisce il portinnesto. Oggi il Carrizo viene preferito al Troyer per la sua maggiore tolleranza ai nematodi. Al primo si attribuisce anche una maggiore produttività del nesto. Comunque, entrambi inducono elevata qualità dei frutti e, per le arance pigmentate, contenuti di antocianine maggiori dell’arancio amaro. Tuttavia, rispetto a quest’ultimo i citrange sono più sensibili al calcare e ai sali. Un citrange di successiva costituzione è il C35 che ha la prerogativa di indurre alla pianta una dimensione più ridotta, circa un

Citrange Carrizo

Arancio Sanguinello su citrange Troyer

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portinnesti

Mandarino Primosole su arancio amaro

quarto di quella delle piante sui due precedenti citrange. Il C35 è un ibrido tra un arancio a polpa rossa e il poncirus, costituito in California e rilasciato nel 1987. È un soggetto interessante, ma l’alta sensibilità al calcare ne limita la diffusione. Il poncirus, noto anche come arancio trifogliato, ha un profilo bioagronomico molto interessante per cui è molto diffuso in Cina e Giappone. È un agrume a foglia caduca, carattere che induce tolleranza alle basse temperature e che si trasmette anche al

Poncirus Flying Dragon

Citrumelo Swingle Piantine di citrange Carrizo in vivaio

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ricerca nesto. Le piante con questo soggetto danno un prodotto quantitativamente e qualitativamente elevato. È tollerante al marciume radicale e ciò lo rende più indicato di ogni altro portinnesto per gli impianti in terreni soggetti a eccessi di umidità. Per contro, non tollera i terreni calcarei e quelli contenenti anche modeste quantità di sali, aspetto che riduce notevolmente, sia in Italia sia in altri paesi, la possibilità del suo impiego. Del poncirus esistono diverse selezioni, distinte per la grandezza dei fiori: a fiore grande e a fiore piccolo. Un tempo si riteneva che le selezioni a fiore piccolo determinassero una riduzione della taglia degli alberi; in realtà questo risultato si ottiene con il Flying Dragon [Poncirus trifoliata var. monstruosa (T. Ito) Swingle], che si caratterizza per i rami e le spine curvilinei da cui deriva il nome “drago volante”. Il suo comportamento bioagronomico è simile a quello del poncirus, eccettuata la notevole riduzione della taglia delle piante (oltre il 50%), sicché si può impiegare per impianti ad alta densità. I citrumeli sono ibridi tra pompelmi e poncirus (Citrus paradisi × Poncirus trifoliata). Il più noto è lo Swingle (CES4475), mentre altri ibridi sono Sacaton, CES1452. Sono soggetti molto vigorosi che inducono al nesto quantità e qualità di frutta elevate. Lo Swingle è resistente al freddo e alle Phytophthorae. La sua diffusione tuttavia è proponibile soltanto nei terreni con basso contenuto di calcio, perché è soggetto alla clorosi ferrica più del citrange. L’Alemow (Citrus macrophylla), originario dell’isola di Cebu, nelle Filippine, presenta caratteristiche della pianta e del frutto che ri-

Alemow

Piantine di Alemow in vivaio

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portinnesti chiamano quelle del limone. Mediante marcatori molecolari è stato accertato, da Nicolosi et al., che si tratta di un ibrido tra cedro e Citrus micrantha. Sebbene un tempo sia stato proposto anche come soggetto del clementine, perché consentiva una produzione notevolmente maggiore di altri portinnesti, la sua suscettibilità al CTV oggi ne restringe l’impiego soltanto al limone, cui conferisce rapida entrata in produzione, buona affinità e vigore, quantità di frutti certamente maggiore di quella ottenibile su soggetto arancio amaro. Un aspetto positivo dell’alemow è anche la tolleranza al calcare e alla salinità del terreno. Il suo punto debole è la sua suscettibilità alla xiloporosi, oltre che al CTV. Oltre a quelli precedentemente descritti nei diversi paesi agrumicoli sono stati utilizzati (e in parte lo sono tuttora) numerosi altri portinnesti, alcuni dei quali valutati e proposti dalle istituzioni di ricerca, altri in base all’esperienza locale. Il mandarino Cleopatra (Citrus reshni Hort. ex Tan.), originario dell’India, è marginalmente utilizzato in alcuni paesi del Mediterraneo. Ha un buona tolleranza ai sali e al calcare. Gli si attribuisce una fruttificazione irregolare, sebbene la qualità sia buona. Il limite principale di questo soggetto è la sua sensibilità alla gommosi del colletto e al marciume radicale. Il limone Volkameriano (Citrus volkameriana Pasq.) è un ibrido tra arancio amaro e cedro, stando a quanto accertato da Nicolosi et al. Fondamentalmente è stato proposto come portinnesto del limone, cui conferisce precoce messa a frutto e alta produttività.

Mandarino Cleopatra

Pianta di mandarino Cleopatra

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ricerca Portinnesti e principali malattie da virus e da viroidi CTV

Exocortite

Xiloporosi

Arancio amaro

Portinnesti

suscettibile

tollerante

tollerante

Citrange Troyer

tollerante

suscettibile

tollerante

Citrange Carrizo

tollerante

suscettibile

tollerante

Citrumelo

tollerante

tollerante

tollerante

Poncirus

tollerante

suscettibile

tollerante

Alemow

suscettibile

tollerante

suscettibile

Quando viene innestato con arancio, pompelmo e mandarinosimili il vigore della pianta è notevole ma la qualità dei frutti non è soddisfacente. Essendo soggetto alla gommosi del colletto, non è proponibile nei terreni con livelli elevati di umidità. Tra i portinnesti richiamati dalla letteratura mondiale ricordiamo la lima dolce di Palestina e la lima di Rangpur, nonché generi diversi dai Citrus, come Severinia, Microcitrus, Citropsis, Eremocitrus e altri, che sono stati saggiati principalmente per ottenere piante di taglia ridotta (effetto nanizzante). Limone Volkameriano da Risso e Poiteau

Nel futuro Come precedentemente detto, non esiste ancora un portinnesto universale che si adatti alle diverse condizioni in cui si coltivano gli agrumi nel mondo. Come per il miglioramento genetico delle varietà, anche per i portinnesti la ricerca non ha raggiunto traguardi definitivi, ma punta a ottenere nuovi soggetti con caratteristiche sempre meglio rispondenti alle esigenze del comparto. Pertanto, si riportano alcuni risultati di ricerche svolte in California, Spagna e Italia. L’Università della California nel 2008 ha rilasciato tre ibridi, Bitters, Carpenter e Furr, ottenuti da incroci tra mandarino Sunki (Citrus sunki Hort. ex Tan.) e Poncirus trifoliata. Le piante innestate su Bitters hanno una taglia ridotta, producono frutti di buona qualità e in quantità e presentano un eccellente comportamento nei terreni calcarei. Carpenter e Furr comportano uno sviluppo medio delle piante, tolleranza al calcare e alle Phytophthorae. In Spagna dall’IVIA sono stati costituiti due ibridi: Forner-Alcaide n. 5 e Forner-Alcaide n. 418. Il primo deriva dall’incrocio del mandarino Cleopatra con il poncirus, il secondo dall’incrocio del citrange Troyer con il mandarino comune. Sotto il profilo agronomico, Forner-Alcaide n. 5 presenta tolleranza al calcare, ai sali e all’asfissia radicale, ed è considerato seminanizzante. Il FornerAlcaide n. 418, cui è attribuita pure tolleranza al calcare e ai sali, è un soggetto idoneo per gli impianti ad alta densità essendo particolarmente nanizzante.

Lima di Palestina

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portinnesti In Italia nel 1969 dal CRA-ACM di Acireale è stata avviata una ricerca con l’obiettivo di costituire nuovi portinnesti impiegando il Citrus latipes (Swing.) come genitore femminile e il poncirus, l’arancio amaro e il limone Volkameriano come genitori maschili. Nello studio del comportamento produttivo degli ibridi ottenuti si sono distinti finora tre ibridi tra C. latipes e poncirus, che lasciano sperare in un impiego futuro; essi sono contraddistinti dalle sigle F5P12, F6P12 e F6P13. Etna, agrumi e cicogna

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